L’Europa bifronte è davanti a noi: l’Unione Europea – dopo estenuanti trattative e un lungo negoziato – ha approvato un ambizioso piano per la ricostruzione e la ripresa dell’Europa per far fronte alle conseguenze economiche dell’epidemia in atto; l’Europa degli Stati è celata nella riforma del regolamento di Dublino, così come l’ha presentata la Commissione.
Il Next Generation EU (così si chiama il piano che sostituisce quello denominato Recovery Fund) accoglie quasi integralmente le proposte presentate dalla Commissione, anticipate dal progetto congiunto franco – tedesco e approvate dal Parlamento Europeo. Mi limiterò a ricordare i tratti essenziali di questo piano.
Il Next Generation EU ammonta complessivamente a 750 miliardi ripartiti in 390 per sovvenzioni e 360 per prestiti agli Stati Membri. All’Italia spetterà, tra sovvenzioni e prestiti, la quota di 209 miliardi, che dovranno essere spesi entro il 2026 e i prestiti rimborsati con tassi irrisori entro il 2058. Tutto ciò costituisce la “grande rivoluzione” introdotta dal Consiglio Europeo in materia di finanze dell’Unione Europea perché paesi parsimoniosi e paesi intemperanti “mettono assieme” (uso l’espressione di Robert Schuman!) l’indebitamento, ulteriore passo dell’Unione verso una “solidarietà di fatto”. Il tempo delle infinite tensioni che hanno accompagnato finora le più importanti decisioni tra Stati che convivono con la contraddizione di avere una moneta comune, ma tenendo separate le politiche economiche, sembrerebbe concluso e dovrebbe iniziare quello di una sincera collaborazione verso un’entità finanziaria a carattere statuale.
Gli Stati membri dovranno predisporre entro il prossimo ottobre i piani per la ricostruzione e la ripresa. Essi dovranno definire il programma di riforme e investimenti per il periodo 2021 -2023 e la Commissione li valuterà entro due mesi dalla presentazione in base alla loro coerenza con le raccomandazioni specifiche per il nostro Paese, il potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e il nostro contributo alla transizione ambientale e digitale.
A che punto siamo per la stesura di tale piano? La Presidenza del Consiglio ha chiesto ai vari Ministeri di presentare le loro richieste. Ne è saltata fuori “una lista” di più di 557 progetti per “la spesa” di 677 miliardi. Secondo quanto si legge dalla stampa, i progetti propongono la costruzione del ponte sullo stretto, l’eliminazione delle tasse sugli aumenti contrattuali, la riduzione dell’imposta sul lavoro, contributi alle RSA e per il diritto allo studio, nuove assunzioni nella pubblica amministrazione, il finanziamento di nuove infrastrutture…Molti politici hanno chiesto una forte diminuzione delle tasse e via di seguito.
Ma così non va. L’apertura di credito che ci è stata concessa è fondata sulla fiducia che il governo Conte è riuscito ad ottenere dall’Unione Europea sulla base di progetti validi (che dovranno superare la verifica da parte della Commissione) ai fini della modernizzazione delle nostre strutture, condizione essenziale per usufruire dei finanziamenti. Sarà, pertanto, necessaria instaurare una “cabina di regia” per un controllo dei progetti e della loro spesa. Vorrei che i fondi messi a disposizione dell’Italia dall’Unione Europea venissero impiegati innanzitutto per migliorare la qualità dell’insegnamento scolastico a tutti i livelli sia qualificando i docenti sia selezionando gli studenti per indirizzarli verso gli studi più adeguati alle loro capacità.
Anche gli italiani sono chiamati, amministrando in modo oculato le loro risorse, a fare sacrifici e a condurre una vita più sobria. Dovremo dimostrare di essere capaci di migliorare i nostri conti pubblici sia con la revisione della spesa, già iniziata da Cottarelli, che dalla rinnovata lotta all’evasione e all’elusione fiscale, e alla corruzione. Sarà necessario rivedere tutto lo stato sociale cercando di assorbire in un unico principio tutti i vari “bonus” concessi alle famiglie secondo la progressività del reddito e il numero dei figli. Massima cura si dovrà prestare alla riforma del fisco, magari introducendo una minima tassa patrimoniale e quella sulla prima casa, esonerando i meno abbienti.
Le decisioni dell’Unione Europea, che si fondano sul principio fondamentale della solidarietà fra i paesi, ha allargato il suo spazio politico e ha segnato una tappa di grande rilevanza ai fini della coesione tra i Paesi membri e, dopo molti anni di immobilismo, la capacità economica e tecnologica dell’Unione si è rafforzata.
Purtroppo, l’annuncio da parte della Commissione della riforma (che non vuol dire “abolizione”!) del regolamento di Dublino ha mostrato il lato opposto dell’Europa: quello dell’Europa degli Stati. Infatti, essa ha presentato la riforma in maniera contorta, così sembrerebbe leggendo il testo in inglese, su cui dovranno decidere il Consiglio Europeo e il Parlamento Europeo. Bruxelles ha ammesso che i confini sud dell’Unione sono quelli dei paesi del Mediterraneo e che i migranti, siano essi economici o rifugiati politici, che giungono sulle coste di questi Paesi arrivano in Europa, ma aggiunge che il dovere di accoglienza spetta al Paese su cui approdano. Dal punto strettamente legalistico, la decisione della Commissione è incontestabile. Il trattato di Dublino, da cui discendono i regolamenti, non permette all’Unione Europea di stabilire che un qualsiasi cittadino di paese terzo che desidera stabilirsi in Europa debba essere accolto da un qualsiasi Paese. Questo è chiaro. Infatti la Commissione – al fine di poter ricollocare i migranti in tutti i Paesi dell’Unione – dovrebbe adoperarsi per abolire il Trattato, non solo di riformare il regolamento. Impresa improba perché le modifiche dei Trattati richiedono l’unanimità e le possibilità di ottenere una modifica del Trattato sono assai basse, ma il Trattato prevede (art. 8, par. 3) di prendere misure provvisorie per far fronte ad una situazione di emergenza che metta in difficoltà uno o più paesi. E’ in base a questo articolo che l’Italia può chiedere il ricollocamento in altri Paesi dei migranti che giungono nel nostro Paese. Spesso coloro che hanno il compito di decidere, a furia di correre dietro alla visione d’insieme perdono la visione dei dettagli e non riescono a sentire sotto i propri piedi il corso possente e sotterraneo degli avvenimenti reali.
Ancora una volta, sul problema dei migranti l’Europa degli Stati porrà il veto per il loro ricollocamento nei paesi di non primo approdo. Ancora una volta l’Europa si allontanerebbe dall’impostazione originaria dei padri fondatori. Ancora una volta mancherebbe il “demos” europeo né molto si farebbe per farlo suscitare. Eppure è questo scoglio sul quale rischiano di infrangersi l’equilibrio consolidatosi con il Next Generation EU.
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