Chi è vicino al papa lo descrive addolorato ma tranquillo. Nessun passo indietro dopo la decisione choc di sfiduciare e “dimissionare” per sospetto peculato l’ex cardinale Angelo Becciu, suo stretto collaboratore, potente e temuto diplomatico che egli stesso nominò cardinale nel 2018. Niente dubbi e ripensamenti. Francesco è più che mai deciso a continuare la difficile opera di rinnovamento nei sacri palazzi, a dare un segnale chiaro contro i traffici di denaro a scapito della carità che è il primo dovere della Chiesa. Nessuno è intoccabile. Anzi ora cambia tutto. La nuova misura concreta è che il papa ha deciso di togliere la gestione dei soldi alla Segreteria di Stato.
La “cassa” passa sotto il controllo dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio della sede apostolica, istituita nel 1967 da Paolo VI e dal 2018 presieduta dal vescovo Nunzio Galantino, 72 anni. Niente più “tesoretti” separati e gestiti del vari dicasteri, enti e congregazioni della Santa Sede. Abolito un sistema che si prestava a manovre poco chiare. D’ora in poi bilanci, spesa e investimenti saranno centralizzati nell’Apsa per avere sotto controllo il flusso della liquidità. Che potrà essere ulteriormente verificato da un “comitato di saggi”, il cosiddetto C6, il Consiglio dei porporati che collaborano con il papa nel governo della Chiesa.
Le nuove parole d’ordine sono severità e rigore nell’applicazione del codice degli appalti, trasparenza, buon esempio e scrupoloso controllo delle operazioni finanziarie. È finita l’epoca in cui ogni ente poteva stabilire in autonomia a chi affidare i propri lavori e consulenze. L’obiettivo è annullare i favori a parenti e conoscenti. Quando un dicastero sostiene una spesa la comunica all’Apsa che provvede a saldare il debito. Così si assicura tracciabilità e trasparenza. Per il futuro saranno tollerati solo investimenti etici, meglio se legati all’ecologia. Ma il grande cambiamento rispetto al passato è che oggi è il Vaticano a denunciare i presunti illeciti interni.
Angelo Becciu, 72 anni, di origini sarde, ex nunzio apostolico in Nuova Zelanda, Stati Uniti, Cuba, Angola, Liberia e dal 2011 al 2018 potente Sostituto alla Segreteria di Stato, sarebbe accusato di aver utilizzato fondi vaticani a vantaggio dei fratelli in Sardegna: versamenti per finanziare la cooperativa Spes del fratello Tonino a Ozieri, una struttura della Caritas; lavori di falegnameria affidati all’altro congiunto Francesco durante le nunziature; promozione della birra prodotta dalla società di un terzo fratello, Mario, docente di psicologia all’Università Salesiana e imprenditore, nell’ambito di un progetto di inserimento di ragazzi autistici.
Ma sotto la lente degli investigatori ci sarebbe non solo la violazione del nuovo codice degli appalti contro i nepotismi (fino al quarto grado di parentela) in vigore da luglio. La necessità di rivoluzionare la gestione delle finanze pontificie è dovuta alla consuetudine di rivolgersi a faccendieri italiani e stranieri, ad avventurieri della finanza, a broker dal passato turbolento, a uomini d’affari interessati e senza scrupoli per operazioni opache e speculazioni di Borsa spesso compiute senza un’adeguata formazione finanziaria. Un andazzo che coinvolgeva alcuni dei più stretti collaboratori di Becciu, funzionari del vecchio staff della Segreteria di Stato ora sotto indagine per peculato, abuso di autorità e corruzione. Il loro ruolo sarebbe tutt’altro che secondario nella vicenda.
Parlando all’Angelus il papa è stato chiaro: “La linea del rigore va oltre gli illeciti. Le operazioni sospette mal si conciliano con le finalità della Chiesa”. Francesco dunque tira diritto con la sua riforma etica e non guarda in faccia a nessuno. Ricorda che la Santa Sede ha avviato “un processo di conformazione della propria legislazione alle norme del diritto internazionale per contrastare l’illegalità nel settore della finanza e che le situazioni sospette sono state segnalate proprio dai nuovi presidi interni di sorveglianza e di intervento”. Il riferimento è all’incauto acquisto di un ex magazzino Harrods strapagato 300 milioni in Sloane Avenue e di altre case di lusso a Londra.
A quanto pare l’operazione ha aperto un buco nei conti della Santa Sede e ha fatto ricchi solo gli intermediari, professionisti e banchieri che hanno incassato in pochi anni decine di milioni di euro in commissioni, pagati oltretutto con i soldi dell’Obolo di San Pietro, le offerte dei fedeli al papa destinate alle opere di carità. Ma sotto osservazione ci sarebbero anche i rapporti poco chiari intrattenuti dallo staff della Segreteria di Stato con un tycoon angolano che rischiava di impegolare il Vaticano nell’acquisto di una piattaforma petrolifera e altri affari opachi. Gli investigatori seguono flussi di denaro che arrivano fino a Santo Domingo. La Repubblica parla di “sacco del Vaticano”, sarebbe stato svuotato perfino il conto personale del papa.
A prescindere dalla nuda cronaca, è la mentalità che va cambiata. Pressato dal pontefice, l’alto prelato si è dimesso dalla carica di prefetto della Congregazione delle cause dei santi che attualmente ricopriva. Con la rinuncia ai diritti e alle prerogative della porpora, non potrà partecipare al conclave per l’elezione del prossimo papa, né ai concistori in cui il pontefice nomina i nuovi porporati e dovrà forse rinunciare allo stipendio. Non perderà invece il diritto ad essere chiamato eminenza e ad occupare l’appartamento nel palazzo dell’ex Sant’Uffizio, dove ogni giovedì santo riceveva a pranzo il papa e dieci parroci romani.
La cacciata di un membro del collegio cardinalizio è un evento raro nella storia della Chiesa. Una sorte analoga toccò nel 2018 all’americano Theodore McCarrick per abusi sessuali su minorenni. E Francesco sembra mettere sullo stesso piano scandali sessuali e malversazioni di denaro. Non ha certo dimenticato i grandi scandali finanziari che in passato hanno reso un pessimo servizio all’immagine della Chiesa. A cominciare dal fallimento del cattolico Banco Ambrosiano, dalle accuse di riciclaggio del denaro della mafia, dalla discussa gestione Marcinkus della banca vaticana e dalle fughe di documenti riservati della Santa Sede con i due Vatileaks.
Per non parlare dello scandalo dei soldi della Fondazione Bambino Gesù utilizzati per ristrutturare l’attico di un alto prelato, delle accuse di cattiva gestione e di dismissione interessata del patrimonio immobiliare ai vertici dello Ior. Non stupisce che, per affrontare il presente e il futuro, papa Francesco abbia rafforzato la squadra del Tribunale della Santa Sede presieduto da Giuseppe Pignatone, ex procuratore a Roma, con l’ingresso di Gianluca Perone, professore di diritto commerciale all’Università Tor Vergata, al fianco del promotore di giustizia Gian Piero Milano, del sostituto Roberto Zannotti e dell’aggiunto Alessandro Diddi.
E la reazione di Becciu? L’ex porporato respinge ogni addebito e la famiglia minaccia querele: “Sono accuse surreali, non ho nulla di cui pentirmi – si difende il cardinale dimissionario – Forse il papa ha avuto errate informazioni, spero non sia stato manipolato e ci ripensi. Se non succederà non alimenterò guerre, chiederò solo di essere mandato a processo e tornerò a fare il prete”. Per l’ex Sostituto della Segreteria il papa ha dunque sbagliato e promette battaglia. Il nuovo scandalo non giova al gettito ormai ridotto a 50 milioni dell’Obolo di S. Pietro. La Santa Sede ha pagato regolarmente gli stipendi ai cinquemila dipendenti durante il lockdown, con il blocco dei Musei Vaticani e delle attività commerciali. E confida nella generosità di un miliardo e 299 milioni di fedeli, distribuiti in 224 Paesi del mondo.
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