Leggere Moravia significherebbe impostare una lettura del nostro tempo. Così scriveva Ferdinando Camon sulle pagine de l’Avvenire del 5 giugno 2019. Parole da condividere a trent’anni dalla morte dello scrittore. Era il 26 settembre 1990, quando l’ottantatreenne Alberto Pincherle – questo era il suo cognome – fu trovato morto dalla sua governante. Se accettiamo l’indicazione di Camon, dobbiamo, però, ammettere che l’impresa non è facile. Basti pensare come al di là della retorica della memoria legata agli anniversari, proprio in questi trent’anni, ogni ricorrenza della sua morte è stata vissuta in modo diverso. Di Moravia – sempre secondo le parole di Camon – si scriveva quand’era in vita, che avrebbe avuto un capitolo, non un paragrafo, nelle storie letterarie. Ma a solo dieci anni dalla morte Dacia Maraini, donna da lui amata dopo il burrascoso matrimonio con Elsa Morante, ne denunciava non solo un ingiustificato oblio, ma anche assurde denigrazioni. Di contro a vent’anni dalla sua morte, oltre ai ricordi pubblicati della terza e giovane moglie, in molti incominciarono a chiedersi che cosa avrebbe detto, pensato Moravia in relazione a certe situazioni. E questo perché i tempi facevano rimpiangere la sua “abilità intellettuale”. Luigi Reina, docente di Italiano e Preside di Facoltà a Salerno, seppe ben sintetizzare l’importanza culturale dell’ultimo Moravia. E facciamo nostre le sue parole.
“Da ultimo Moravia si è assunto un ruolo di storico e di ritrattista oltre che di narratore. E lo svolge con convinzione, con critico distacco e con altrettanta finezza. Non c’è gratuità né compiacenza nelle sue pagine. Ma analisi attenta, scrupolosa, intelligente, totale. Gli basta un carattere, un ben definito momento per dipingere il quadro esatto di una situazione”. A questa valutazione elogiativa si potrebbe aggiungere come in vista delle elezioni europee del 2014 si scrisse che sarebbe stato opportuno rileggere il suo Diario europeo. Il libro del 1984, scritto per il Corriere della Sera, era frutto anche della sua esperienza di eurodeputato. La scelta politica era stata caldeggiata da Enrico Berlinguer e lo scrittore, giornalista culturale e di reportage di viaggi, saggista–intellettuale, che per ragioni di salute non conseguì nessun titolo di studio, era profondamente convinto di fare una battaglia per il disarmo. Se è inutile chiedersi se quel consiglio fu seguito da qualcuno, è, invece, importante capire perché, nonostante tutto, i giudizi su di lui sono ancora contradditori o parziali o ancorati a giudizi moraleggianti. Molti associano la valutazione di Moravia alle sue tematiche a sfondo sessuale, altri si limitano a ricordare i primi romanzi, citando quello che rimane, indubbiamente, un testo fondamentale, Gli indifferenti del 1929, di drammatica attualità. Usando ancora le parole di Reina quel romanzo descrive – possiamo aggiungere, senza giudicare – la decadenza di un mondo privo ormai di valori che non può che generare accettazione indifferente agli accadimenti. Forse l’indifferenza di oggi è solo mascherata da superficiale emotività? O forse non si perdona ancora a Moravia quel suo descrivere con distacco personaggi emblematici, bloccati in disvalori come la noia, il conformismo, la disubbidienza? O il suo narrare al limite – come qualcuno ha detto- della pornografia? Per comprendere Moravia non è sufficiente né solo un adeguato gusto letterario né paradigmi morali: e questo – anche se può apparire scontato e banale, rende ancora non facile valutarlo. Ma proprio per questo è necessario capire tutto il percorso letterario di questo scrittore, che spesso si chiedeva perché non fosse diventato pittore: dal primo romanzo, così denso di suggestioni filosofiche, di un esistenzialismo quasi universale, ai romanzi più politici, come la Ciociara fino al superamento di ogni forma di naturalismo, ma con costante obbedienza ad un imperativo: dire integralmente e comunicare esattamente. Il che fa molto riflettere. Come fanno ancora riflettere due modi con cui è stato esaminato il suo pensiero narrante. Moravia, già vincitore del premio Strega nel 1952 con i suoi Racconti che ben rappresentano la Roma del dopoguerra, fu uno degli ultimi scrittori ad essere inserito nell’indice dei libri proibiti, di contro in un bel saggio del 1976 a cura di Josef Imbach, dal titolo Dio nella letteratura contemporanea, passaggi del romanzo La noia offrono lo spunto ad interrogarsi sul ruolo di religione e fede, spesso confuse dallo scrittore. Ma interrogarsi era ben diverso dal censurare. E noi a trent’anni dalla morte dobbiamo ancora pensare alla angosciante affermazione per cui, nel romanzo del 1960, Alberto Moravia definì la noia, come interruzione di qualsiasi rapporto. Insomma non limitarci a ricordare la morte di uno scrittore ma tenere vive le grandi domande.
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