Le multinazionali possono aggirare le giurisdizioni nazionali per difendere i propri interessi davanti a tribunali speciali grazie ad un sistema giudiziario parallelo, che consente loro di difendere spregiudicatamente i propri interessi cogli arbitrati a scapito dei diritti umani e della tutela ambientale. Il sistema si basa su clausole per il libero scambio in accordi interstatali. Al momento risultano più di 3400 accordi commerciali e di investimento che le privilegiano. L’arbitrato fra investitori e Stati ha avuto origine nel 1965 per iniziativa della Banca mondiale, che nel quadro della decolonizzazione intendeva garantire gli investitori occidentali da qualsiasi rischio di espropriazione operata dai Paesi di recente indipendenza. Negli anni Settanta la nazionalizzazione delle miniere di rame, sfruttate da imprese statunitensi, decisa dal governo di Salvador Allende, ebbe come risposta il colpo di Stato di Pinochet sostenuto dalla CIA. L’introduzione delle clausole suddette nel NAFTA (1974 – North American Free Trade Agreement, sottoscritto da Stati Uniti, Canada e Messico) ha fatto esplodere il numero delle azioni legali, mettendo in crisi i Paesi emergenti o in via di sviluppo (v. il caso argentino del 2001-2002). IL TAFTA (Transatlantic Free Trade Area) ha visto il progetto di accordo in gestazione dal 2013 tra UE e USA arenarsi.
Nel 1974 venne istituito il Centro delle Nazioni Unite sulle imprese multinazionali, per renderle giuridicamente perseguibili in caso di impatto negativo sull’osservanza dei diritti umani e sulla salvaguardia dell’ambiente. I Paesi dell’OCSE, preoccupati di evitare norme vincolanti, hanno però voluto configurare una responsabilità delle imprese su base volontaria e non coercitiva. Le iniziative dell’ONU prese a partire dal 1974 nei confronti dello sfruttamento inumano del lavoro e della deforestazione causata dalla produzione dell’olio di palma sono miseramente fallite nonostante le campagne di boicottaggio. Nel 1999 in occasione del World Economic Forum di Davos è intervenuto il Global Compact, al fine di promuovere la responsabilità sociale delle multinazionali sul fondamento di un codice di dieci principi vertenti sui diritti umani, i diritti del lavoro, l’ambiente e la lotta alla corruzione. Massiccio anche l’impegno del settore privato, però su base volontaria e non vincolante.
Nel marzo del 2017 infine la Francia ha adottato dopo tre anni e mezzo di maratona legislativa una legge sul dovere di vigilanza delle società capogruppo e delle società committenti, segnando una vera e propria svolta. Le imprese francesi vengono così chiamate a rispondere ai tribunali nazionali in tema di violazione e abusi perpetrati dalle loro attività in tutto il mondo. L’Unione Europea e l’ONU hanno preso questa legge in seria considerazione, riconoscendo la necessità di andare oltre gli impegni volontari. Sotto la spinta di Ecuador e Sudafrica un gruppo di lavoro intergovernativo si è costituito nel 2014 per la stesura al proposito di un trattato internazionale, che ponga fine all’impunità delle multinazionali. Nel clima ovattato del Palazzo delle Nazioni di Ginevra si susseguono aspre battaglie diplomatiche. Nel 2019 purtroppo i diplomatici europei hanno finito per adottare un atteggiamento di relativa neutralità.
Ben diverso l’atteggiamento del Vaticano, che si è schierato a favore del Trattato, proclamando il primato dei diritti umani sui diritti commerciali e di investimento. Papa Francesco si è appellato ad un necessario cambiamento strutturale globale, appuntandosi sull’idolatria del capitale, l’avidità di denaro, la schiavitù dell’uomo, con distruzione della fraternità, lo scontro tra i popoli e la minaccia per la casa comune (Enciclica Laudato si’). Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti contro la proprietà, le persone, l’ambiente. Crimini contro l’umanità risultano la fame, la miseria, la migrazione forzata, la morte per malattie, il disastro ambientale, l’etnocidio dei popoli indigeni. Nel gennaio del 2019 al World Economic Forum di Davos duecento organizzazioni di sedici Paesi dell’UE hanno lanciato la campagna Rights for People, Rules for Corporations (Diritti per le persone, regole per le multinazionali) su una petizione di oltre ottocentomila firmatari. Ne son derivate azioni di disobbedienza civile contro Total e Amazon, interpellanze parlamentari, campagne di stampa. Tutte le imprese multinazionali devono essere riportate a un quadro democratico e deve essere garantito un accesso riparatore alla giustizia per le popolazioni vittime.
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