C’è stata negli ultimi anni una pericolosa involuzione delle politiche sociali. Si è infatti affermata una visione fondata sull’individualismo da una parte e sulla dimensione monetaria dall’altra. Una visione che si è caratterizzata anche da un progressivo accentramento statalista degli interventi. Anche la risposta alla crisi della pandemia ha assecondato questa prospettiva: interventi a integrazione del reddito, finanziamenti individuali (anche a chi non ne aveva bisogno), erogazioni controllate dallo Stato, tranne una piccola e limitata parentesi con i buoni alimentari distribuiti dai Comuni.
Negli ultimi anni destra e sinistra hanno percorso la stessa strada distribuendo soldi e ricercando consenso. Basti ricordare gli 80 euro del Governo Renzi, quota 100 voluta dalla Lega, il reddito di cittadinanza sostenuto dai 5 Stelle. Tre provvedimenti che alla prova dei fatti non hanno ottenuto nessuno dei risultati proclamati. Gli 80 euro non hanno fatto crescere i consumi e l’economia è rimasta stagnante. Quota 100 non ha per nulla aperto le strade all’occupazione giovanile. Il reddito di cittadinanza non ha abolito la povertà e, pur se in alcuni casi è stato ed è un doveroso sostegno, in molti altri è stato è stato un incentivo al non-lavoro o al lavoro nero.
Proprio il tema della povertà merita un approfondimento perché, soprattutto nell’attuale società, il povero non è tanto colui che non ha soldi, ma chi è malato, emarginato, isolato, spesso analfabeta e privo di relazioni: tutte categorie che sfuggono alle statistiche, ma che descrivono tante realtà sociali che richiederebbero una attenzione particolare. Non solo soldi.
E allora bisogna ricordare che i provvedimenti citati sono stati finanziati negli ultimi anni o aumentando il debito dello Stato, ponendo quindi nuovi oneri sulle spalle dei più giovani, oppure riducendo le spese per servizi essenziali come la sanità e l’educazione. Ed ora, dopo sei mesi di pandemia, vediamo quanto sia stato un errore tagliare i posti letto negli ospedali, depotenziare la medicina sul territorio (eliminando i ponti tra i medici di famiglia e gli ospedali), rimandare l’adeguamento degli edifici scolastici.
E peraltro da molti anni, anche qui sia da destra che da sinistra, è stata portata avanti una politica che ha accresciuto il potere burocratico delle Regioni, e ha tolto forza a molte scelte che avevano caratterizzato gli anni del dopoguerra: le case popolari, per esempio, così come i servizi sociali affidati ai Comuni, la difesa della sussidiarietà con tutte le vaste attività del terzo settore, dal volontariato al non profit, dalle scuole paritarie alle fondazioni.
C’è stata l’illusione che la politica sociale si potesse basare sui mezzi invece che sui valori, così come sui soldi e sui singoli, invece che sulle opere e sulla collettività. Case, centri sociali, scuole, medici che abbiano il tempo di visitare i malati: in questa dimensione sociale e collettiva, in questi beni comuni ci possono essere molte più risposte alle domande poste da una situazione di povertà.
E allora appare importante che i territori, i Comuni, possono riprendere in mano le fila di una politica che guardi alla persona come protagonista di una società viva, capace di valorizzare i singoli in un’ottica di collettività. Può andare in questa direzione il Patto fondativo lanciato in più occasioni su queste pagine da Costante Portatadino. Non dimenticando che anche se la crescita della città, soprattutto negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, è stata disordinata e invasiva, restano comunque segni positivi di una identità che non si è persa. Se è vero che il Comune ha allargato la sua incidenza, sia in senso amministrativo, sia nella dimensione urbanistica, è altrettanto vero che, anche grazie alle parrocchie, continua ad esistere una dimensione strettamente locale a misura d’uomo, con luoghi di aggregazione, di confronto, di aiuto. Nelle diverse castellanze, da Velate a Giubiano, da Masnago a Bobbiate, le iniziative si susseguono pur se quest’anno prudentemente limitate dai rischi della pandemia.
Sarebbe necessario riportare la politica a livello della società. Ma bisognerebbe parlare prima di valori e poi di soldi, prima di umanità e poi di individui.
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