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Apologie Paradossali

VALORIZZARE LE PERIFERIE

COSTANTE PORTATADINO - 18/09/2020

varese(S) Ho capito, per un po’ non vuoi avere contraddittori, te lo concedo, spiegati come meglio ti riesce, ma tieni conto di questo avvertimento: pretendendo di non tener conto degli schieramenti politici già costituiti o quasi, rischi di essere inviso ad entrambi i contendenti: così facendo scegli una strada ancora più utopistica, di quelle normalmente suggerite dai sogni di Onirio.

(C) Ne sono consapevole. Ma è l’utopia di riproporre il senso della democrazia, che non è votare quando e come conviene, intendo dire con la l’ultima legge elettorale confezionata apposta, e nemmeno costruire alleanze a prescindere, (direbbe Totò). Se si deve cambiare alleanza o proposta, non deve trattarsi di opportunismo, ma di ascolto della realtà, di correzione dei propri errori o di quelli della generazione precedente. Oggi, perdonatemi il paradosso, si usa chiamare utopia il voler essere davvero realisti, cioè considerare tutta intera la realtà e non solo quella parte che ti conviene e focalizzare solo quella. L’esempio più attuale è quello del referendum di domenica 20 settembre (e di Lunedì mattina per i ritardatari del weekend). La ‘Casta’ avrà avuto certamente le proprie belle colpe (oserei dire da un paio di leggi elettorali in qua, da quando il Parlamento è composto da una stragrande maggioranza non di eletti, ma di nominati), ma il rimedio proposto, il taglio numerico, è peggiore del male, indebolisce la rappresentatività e quindi la democrazia, allontana i rappresentanti politici dalla gente, rafforza il potere delle oligarchie, partitiche ed economiche.

(O) Anche il potere delle oligarchie della cultura e dell’informazione, si rafforza, compresa quella che essendo spontanea, mi riferisco ai social network, dovrebbe essere più libera. Invece il risultato è che le chiacchiere del Bar si sono moltiplicate per 100 sulla rete, ma hanno lo stesso livello d’incompetenza e di mancanza di realismo. Lasciatemi dire una cosa, l’utopia vi sembra irrealistica proprio perché si distacca dalla banalità del sentito dire, dalla superficialità dell’opportunismo, invece al contrario cerca di scavare il senso profondo, per immaginare un futuro più ragionevole e più umano. Per questo sembra lontana, astratta. Se non è pura fantasia, può aiutare a comprendere meglio la realtà. Se poi ci limitiamo ad un orizzonte locale, che possiamo conoscere e verificare di persona, evitiamo il rischio sia della banalità, sia dell’astrattezza. Quindi ti esorto a continuare.

(C) L’ipotesi che voglio sviluppare, che ho chiamato NUOVO PATTO FONDATIVO, è definita dal concetto di ‘PATTO’. Intendo una scelta consapevole, un atto dell’intelligenza e della volontà, quindi si rivolge prima ai cittadini, poi alle strutture materiali che sostengono la città. Deve essere chiaro che l’obiettivo essenziale dell’azione politica e amministrativa della città deve essere l’offerta di pari opportunità e di pari responsabilità, in modo equo ed efficace, a tutti coloro che vi partecipano, per residenza o per lavoro. Non fraintendetemi, non faccio il buonista o l’egualitarista a buon mercato. Voglio però evitare che le scelte delle pubbliche istituzioni aumentino le differenze tra cittadini. Se è vero che l’accesso ai beni essenziali deve essere garantito dallo Stato, la giusta logica della sussidiarietà e del decentramento assegna agli enti locali, in particolare ai comuni, il compito di renderli fruibili da tutti i cittadini. Dovremmo vedere come la città risponde alle domande essenziali, che vorrei identificare principalmente in: Servizi alla Persona e alla Famiglia, Istruzione, Sanità, Lavoro, Ambiente, Mobilità, Cultura, senza ovviamente trascurare altri valori o categorie rientranti in queste.

Ho già accennato, nell’Apologia di settimana scorsa, alle ragioni storiche che hanno procurato a Varese una crescita disorganica nelle fasi di sviluppo locale e nazionale e una altrettanto disorganica sostituzione di luoghi di produzione e di servizi nella fase di decrescita della vocazione industriale e direzionale dell’economia varesina. Il risultato sotto i nostri occhi è la scomparsa del tessuto rionale policentrico che caratterizzava la città fino alla fine degli anni ’70 in una sovrapposizione casuale di funzioni, sparpagliate sul territorio non per la risposta a una domanda effettiva, ma, brutalmente, dal presentarsi di occasione di sfruttamento di edifici o di aree che andavano perdendo la loro funzione originaria. Aree industriali sono diventate commerciali, edifici direzionali sono diventati scuole, scuole sono state parzialmente abbandonate, luoghi turistici non sono valorizzati, aree verdi giacciono nell’abbandono, anzi crescono come tali proprio grazie all’essere abbandonate.

(S) Dici bene, ma è difficile farne colpa a qualcuno, amministrazione pubblica o imprenditori privati. Il fatto è che proprio da allora sono sempre più venute a mancare le risorse, sia pubbliche, sia private, per gli investimenti in servizi pubblici o in attività produttive.

(C) Infatti non ho intenzione di attribuire colpe. Per obiettività aggiungo che la politica anche locale, che definirei da ‘Seconda Repubblica’, basata più sulla capacità polemica che sulla convergenza in progetti ideali e valori consolidati che caratterizzavano i partiti della ‘Prima Repubblica’, ha fortemente contribuito a impoverire la consapevolezza sociale e politica della cittadinanza. Per esempio, almeno fino alla metà degli anni ’80, sedevano in Consiglio Comunale persone che provenivano dai rioni, ne rappresentavano gli interessi, erano molto collegati con la popolazione locale, che da cui ottenevano le preferenze necessarie all’elezione. Ora questo avviene molto più difficilmente, nella frammentazione di liste partitiche e civiche, queste ultime dichiaratamente di supporto al candidato di area o di partito. Si ha un bel dire che non c’è più destra o sinistra, quando si riscontra una totale incomunicabilità tra le parti e l’interesse è svalorizzare il più possibile le proposte o le realizzazioni della parte opposta.

La priorità che voglio affermare, per riproporre un PATTO FONDATIVO, è la rivalorizzazione delle periferie, come luoghi di vita attiva e centri di servizi, non più solo come residenze meno onerose ma più sacrificate rispetto al centro o ai quartieri a vocazione residenziale medio-alto borghese.

(O) Nella conclamata carenza di risorse, come può avvenire una diffusione di valori civici, ambientali culturali e, permettimi, anche immobiliari?

(C) Ci sono due modalità di base: il primo è migliorare la qualità dei servizi decentrati, penso soprattutto a quelli educativi, in particolare a quelli della primissima infanzia, asili nido e scuola dell’infanzia, tenendo conto di quanto hanno fatto nei decenni passati le realtà della sussidiarietà, scuole parrocchiali, fondazioni e associazioni. Altrettanto vale per le scuole elementari e medie, la cui qualità ovviamente dipende più dallo Stato, soprattutto per l’aspetto didattico, ma anche dal Comune per tutti i servizi collaterali. Il tema dell’educazione dovrebbe essere centrale per tutti, pensare alla città senza aver prima pensato a come formare i cittadini, a partire dai più piccoli, sarebbe sbagliare l’ordine dei fattori di crescita.

(S) Non dimentichiamo che il problema demografico, essenziale per l’Italia e per tutta l’Europa, anche se dipende in gran parte da un fattore culturale, ultimamente dalla fiducia e dalla speranza con cui i giovani genitori guardano al loro futuro, manifesta una stretta correlazione con la disponibilità di servizi di supporto alla genitorialità. Noi sappiamo che Varese, negli ultimi anni, sta perdendo popolazione: chiediamoci se non dipenda anche da una necessità di migliorare i servizi alle famiglie giovani e alla primissima infanzia.

(O) Questa preoccupazione coincide con quanto espresso dalla recente “Lettera alla città”, il gruppo di lavoro attorno al prevosto Panighetti che cerca di indicare il possibile sviluppo non esclusivamente religioso, soprattutto umano, di chi vive in questa città. Rmfonline l’ha pubblicata la scorsa settimana. Cito due passaggi: “Prima di tutto le grandi domande che l’esperienza del Covid ha riproposto in modo drammatico a tutti e in particolare ai giovani: che senso ha la morte e dunque che senso ha la vita?” Più avanti: “In secondo luogo la circostanza del Covid con la chiusura delle scuole e la didattica a distanza ha fatto emergere che la scuola è prima di tutto un luogo di rapporti, una comunità di persone. Venendo a mancare il rapporto quotidiano con compagni e insegnanti ci si è resi conto dell’importanza di quei rapporti.” Pur d’accordo con Sebastiano sull’importanza sociale di questi servizi, voglio sottolineare, anzi esaltare, la certezza che ogni fattore educativo è una PRESENZA costitutiva delle persone e della società. Varese ha una buona e antica tradizione di sostegno anche alle realtà educative del mondo della sussidiarietà, che però hanno sofferto, a causa del covid19 ben più di quelle statali e comunali, non legate ai contributi determinanti delle rette di frequenza.

(C) La seconda modalità di valorizzazione delle periferie è di avvicinarle fisicamente a quei luoghi non decentrabili che sono ugualmente necessari, il lavoro, gli ospedali, gli uffici pubblici, le scuole superiori, eccetera. È il tema della mobilità, particolarmente importante per Varese, per la sua configurazione territoriale a raggiera e per la dispersione di molti servizi in luoghi anche distanti dal centro. Sono sicuro che si potrebbe fare molto meglio. Ma consentitemi di tenervi in sospeso fino alla prossima apologia.

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