In questo 2020 dominato dalla Covid-19 e dalle sue notizie spesso ancora allarmanti, penso che l’incontro con un personaggio del passato particolarmente interessante possa rasserenare gli animi e trasmetterci quel senso di armonia, di grazia, di vera bellezza a distanza di oltre cinquecento anni.
Raffaello, quel “giovane favoloso”, come viene definito dai cultori di arte, morì nel 1520 di Venerdì Santo, il 6 aprile. Pare che nacque anche di Venerdì Santo nel 1483. Individuo predestinato alla grandezza già da molto piccolo, anche se le notizie della sua infanzia sono scarse. Figlio d’arte si direbbe oggi, vide la luce ad Urbino in una casa-bottega dove il padre Giovanni Santi, discendente da una famiglia di agiati mercanti e artigiani doratori, era un artista abbastanza noto. Nella splendida corte dei Montefeltro era pittore ma soprattutto uomo di teatro, scenografo, autore di poesie e di musica. Si esibiva anche come “cantimpanca”, una specie di cantastorie, cantando i suoi versi con strumenti a corde, sui vari palchi del Ducato di Urbino. Ma era anche il “magister” ovvero il direttore di una sua bottega assai attiva con numerosi garzoni (possibili futuri artisti) da avviare – come era il suo stile – in modo organizzato e preciso.
Tra questi anche il figlio Raffaello che fin da bambino manifestò il suo talento, tanto da essere accompagnato (così si narra) dal padre stesso nella bottega del Perugino – il divino pittore, “primus pictor in orbe” – per essere seguito e indirizzato. Emblematico un dipinto che raffigura la presentazione di Raffaello al Perugino con alcuni garzoni sulla destra che occhieggiano, forse preoccupati per la futura e già nota presenza. Il Santi insegnò da subito al figlio a “guardare” le opere d’arte non con l’occhio imitante ma con quello interpretativo. Quei principi da Raffaello ben introiettati lo resero negli anni capace di superare i maestri. Sapeva farsi benvolere da tutti l’urbinate, grazie ad un carattere docile, socievole, amabile, accattivante, pronto sempre ad esprimere equilibrio e armonia, attraverso una ricerca stilistica ed etica mai abbandonata.
Conobbe purtroppo la sofferenza presto, da bambino, in quanto rimase orfano di madre all’età di 8 anni. Il padre si risposò l’anno successivo -1492- con Bernardina che gli dette una figlia, Elisabetta. Ma Giovanni Santi nel 1494 morì, lasciando un giovane Raffaello – possiamo immaginarlo – sempre più smarrito. La bottega fu portata avanti dai collaboratori, ma non mancarono le liti con la seconda famiglia del padre per motivi di ordine finanziario. Raffaello reagì a tutto questo dedicandosi sempre più intensamente alle sue poliedriche attività artistiche con metodo e determinazione.
Nel 1500 a soli 17 anni, nominato “magister” affrontò un lavoro impegnativo – la Pala del Beato Nicola da Tolentino destinata alla Cappella Baronci in S. Agostino a Città di Castello – insieme con Evangelista da Pian di Meleto. A causa di un terremoto del 1789 della Pala rimangono purtroppo solo 4 frammenti di una bellezza unica, aerea, elegante soprattutto quello che raffigura un angelo, ora conservato nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Raffaello sa usare bene le mani per dipingere, ma soprattutto è la sua mente ideativa che lo renderà osannato dalle corti, come personalità sperimentatrice, libera, mai idealista. Fu pittore, architetto, disegnatore meticoloso, ma anche imprenditore. Capace di predisporre numerosi cartoni preparatori per le opere successive, fu designer ante litteram. Considerava quest’ultima attività parte integrante del suo essere artista. La progettazione delle sue opere non è mai casuale, ma sempre attenta nei particolari e nei calcoli matematici – vedi lo Sposalizio della Vergine dove, a soli 20 anni, gareggia con il maestro Perugino – tanto da rendere tutto prospetticamente armonioso e sempre aderente alla realtà. Raffaello assimila il meglio dai suoi maestri, che imita in modo interpretativo, superandoli sempre.
Dopo aver lavorato a Urbino, Perugia e Città di Castello, nel 1504 decide di recarsi a Firenze dove vuole restare, attratto dal fascino di Leonardo e Michelangelo che saranno fondamentali per la maturazione del suo linguaggio artistico. Sa acquisire le novità principali di autori del passato o contemporanei, non imitando mai il loro stile, come già detto, ma rielaborandolo per realizzare qualcosa che sarà davvero stupefacente, a dimostrazione della sua grande genialità. “… non fu superato in nulla e sembra radunare in sé tutte le buone qualità degli antichi…” (Bellori 1695). Completerà la sua formazione in “Florentia” in un luogo vivace culturalmente, ricco di importanti iniziative e di occasioni per misurare il proprio talento. Lì disegnerà moltissimo sempre curioso, interessato a modificare, rivedere, aggiungere, assetato come è di novità. I suoi committenti sono personaggi dell’alta borghesia – Taddeo Taddei per esempio, ricchissimo banchiere di cui è spesso ospite, ma anche Nasi, Doni, Canigiani, Dei – che ritrae adattandosi alle loro necessità, in quanto soggetti privati ambiziosi, colti ed esigenti. Ogni quadro ha una sua peculiarità, capace di esprimere sempre una poetica alta data anche dalla ricerca dei particolari, dai gioielli alle stoffe pregiate, dalle acconciature agli sguardi. Non sono mai opere di serialità come quelle di Perugino.
I dipinti con la Vergine, il Bambino e spesso S. Giovannino hanno un’impostazione piramidale o triangolare già nota, ma con elementi di novità inseriti: la luce avvolgente in modo innovativo e sapiente, il paesaggio sullo sfondo su modello leonardesco ma con un proprio linguaggio, la ricerca del colore nell’incarnato delicato, i dettagli e le preziosità dei tessuti per l’abbigliamento o l’arredamento. In taluni quadri la muscolarità del corpo del Bambino è di impianto michelangiolesco, come nella Madonna del Granduca ora a Firenze. L’atteggiamento della Vergine nei dipinti di Raffaello evoca sempre tenerezza, attenzione, gioia nel cercare di coccolare l’amato figlio. Forse inconsciamente il pittore esprime quella continuità affettiva materna di cui è stato privato troppo presto e di cui ne avrebbe avuto ancora tanto bisogno. Bellissimo lo sguardo di Maria che incrocia quello del Bambino nella “Belle Jardinière” ora al Louvre. Sembra di percepire il loro dialogo intimo e silenzioso: si intuiscono movimenti naturali e spontanei intesi come moti d’animo ed espressione di legami affettivi profondi. Stessi sentimenti si possono percepire nell’avvolgente Madonna della Seggiola della Galleria Palatina di Firenze, dove i caldi colori del tondo e l’abbraccio protettivo tra madre e figlio con lo sguardo di entrambi rivolto all’osservatore, esprimono quella potenza dell’amore materno senz’altro presente nei ricordi di Raffaello bambino. Nella Madonna del cardellino agli Uffizi, in quella del prato a Vienna o nella Sacra Famiglia Canigiani a Monaco, lo sguardo intenso e attento di Maria che segue il gioco dei due bimbi, è particolarmente eloquente. Nella Sacra Famiglia con l’agnello, di una collezione privata di Vaduz, emerge quell’aspetto giocoso ma sempre ricco di attenta osservazione da parte dei due genitori: Maria sembra far dondolare sull’agnello-cavallino il piccolo Gesù; S. Giuseppe incrociandone lo sguardo assorbe ogni momento di serenità familiare. Penso che anche in questo dipinto emergano i ricordi infantili dell’autore.
Raffaello studia Leonardo e Michelangelo ma indaga, interviene, rielabora, integra grazie alle sue grandi capacità. In lui si scorge sempre una spontaneità nuova con una naturalezza di attitudini e di rapporti gestuali e una rigorosa semplificazione della composizione. Ciò genera un armonioso accordo tra figure e spazio. Questo è particolarmente visibile nell’opera della Crocifissione di Città di Castello – ora alla National Gallery – che confrontata con altre dello stesso periodo, mette in risalto la sicurezza dell’impianto compositivo, la conformazione spaziale e l’ambientazione delle figure poste tra colline, alberi e specchi d’acqua. Quel paesaggio urbinate definito anche paesaggio “culturale” perché molti artisti lo riprodussero sulle loro opere più famose.
Dopo il periodo “umbro” e quello “fiorentino” per Raffaello si apre quello “romano”: siamo nel 1508 e ha appena 25 anni. La sua opera sarà scandita tra 2 Papi: Giulio II e Leone X. Quest’ultimo, melomane – aveva 48 musici a sua disposizione per servizio privato – apprezzava Bramante come architetto ma anche come appassionato poeta e musicista di lira e di liuto. Anche il Sanzio amava molto la musica tanto da essere definito “il musico dei colori” ovvero sapeva trasferire in arte pittorica il pentagramma. Spesso i suoi personaggi sembrano danzare in modo fluente, naturale, morbido. Del resto, il padre amava la musica e Raffaello cresce a Urbino dove la musica è armonia; lo sfiora regalandogli quel raffinato mistero che perdura da secoli.
Nella sua multiforme e instancabile attività vi è anche quella meno nota di poeta: lascerà cinque sonetti non completamente finiti, che metterà in musica per onorare la memoria del padre. Preparò inoltre cartoni per lavori in argento e bronzo andati purtroppo tutti dispersi. Nella Farmacia della Santa Casa di Loreto vi è invece una serie di vasi decorati con gli Apostoli che sono considerati per tradizione di sua progettazione. Vista la diversificazione estrema del suo essere artista, ebbe ragione W. Goethe quando scrisse nel 1706: “Raffaello è sempre riuscito a fare quello che gli altri vagheggiavano di fare “.
A Roma dunque dal 1508 si dedicherà alla decorazione ad affresco delle Stanze Vaticane per celebrare il Papato e la Chiesa. Per Raffaello sarà un periodo intenso e fecondo tra pittura e architettura, un vero trionfo. Ispiratosi alle quattro facoltà delle università medioevali – teologia, filosofia, poesia, giurisprudenza – dipingerà la notissima Scuola di Atene. Predisporrà inoltre dei cartoni per gli arazzi tessuti in fiandra e intrecciati con fili d’oro e d’argento, da porre nella parte inferiore della Cappella Sistina, in collaborazione con Michelangelo. Nel 1514 sarà nominato Responsabile del Cantiere di S. Pietro, dopo la morte di Bramante di cui porterà avanti il lavoro delle Logge Vaticane. Inizierà i lavori nel 1518 per Villa Madama e nel 1520 quelli per Palazzo Branconio dell’Aquila, successivamente demolito.
Ma la morte lo coglie prematuramente a soli 37 anni, in un Venerdì Santo, in cui anche il cielo si oscurò, come sul Golgota. Accanto alla sua salma gli fu posto il suo quadro rappresentante la Trasfigurazione, ora presso la Pinacoteca Vaticana: Cristo appare immerso in una luce particolare, color bianco neve.
Se dovessimo idealmente essere circondati dall’intera e maestosa opera di Raffaello dove la Bellezza, proprio quella con la B maiuscola e la sua sublime precisione rasentano il divino, – come scrisse Baldi nel 1590: “nell’architettura eccellente e nella pittura divino” – saremmo colpiti e scossi dalla Sindrome di Stendhal. Ciò però ci permetterebbe in questo momento storico, dopo lo stordimento, di riaprire gli occhi per apprezzare e godere quanto di bello Raffaello e tutti gli artisti rinascimentali o di altre epoche, ci hanno lasciato.
Opere da rispettare, custodire, valorizzare, ma soprattutto gustare nei vari dettagli, per liberarci dalle angosce e dalle negatività provocate dalla Covid-19. Avrebbero un effetto catartico, attraverso quell’osservazione meditativa e silenziosa che l’arte è sempre in grado di offrire.
E potremmo anche condividere con Pietro Bembo l’epitaffio scritto per Raffaello e posto sulla sua tomba al Pantheon: Qui giace Raffaello, vivente il quale la Natura temette di essere vinta, e morente il quale temette di morire.
Dopo cinque secoli, è forse l’umanità intera che rischia di distruggere la Natura: auguriamoci invece di continuare a convivere con essa e con il nostro pianeta rispettandolo, godendo dei suoi benefici e osservandone le tante bellezze che generosamente vengono donate per il benessere di tutti.
Ritengo questo atteggiamento una terapia per la mente e l’anima di ciascuno di noi.
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