Matteo Salvini si presenta in Senato senza mascherina (“Non ce l’ho e non la indosso”) e invita a toglierla un bimbo che ha chiamato sul palco a Milano Marittima. Flavio Briatore attacca il sindaco di Arzachena per i limiti imposti alle discoteche in Costa Smeralda e due giorni dopo viene ricoverato perché positivo al virus. I gilet arancioni dell’ex generale Pappalardo si accalcano senza protezioni sul sagrato del duomo di Milano gridando “libertà, libertà”. Un corteo di estremisti scende in piazza a Roma urlando che “il virus non esiste”. E il critico d’arte nonché sindaco di Sutri Vittorio Sgarbi si diverte a provocare: “Solo i ladri nascondono il volto”.
Le cronache estive confermano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che l’Italia è un popolo d’inguaribili indisciplinati e di ingovernabili anarchici. Al coro stonato dei no mask, complottisti e allarmisti vari si aggiungono a sorpresa due ugole d’oro: Andrea Bocelli (“mi sento umiliato e offeso dal lockdown, conosco un sacco di gente e nessuno è finito in terapia intensiva, perché tutto questo allarme?”) e Albano (“i politici devono prevenire l’economic-virus perché senza concerti io posso vivere soltanto un anno”). Perfino il comico Massimo Boldi s’improvvisa politologo cospirazionista e sospira: “Il popolo non vuole tapparsi la bocca con le mascherine”.
Oltre 35.500 morti e colonne di camion carichi di bare non bastano a convincere gli italiani che il virus esiste e neppure ad essere più cauti. Siamo un popolo pronto a reclamare i propri diritti ma poco disposto a riconoscere quelli altrui, refrattario a sacrificare qualcosa del proprio ego anche se danneggia gli altri. Tutti in credito, nessuno in debito con lo Stato. Tutti convinti di essere migliori di una classe politica inevitabilmente corrotta, come se i politici non fossero lo specchio del Paese. Roberto Gervaso, sottile fustigatore di costumi, ripeteva l’aforisma di Prezzolini “gli italiani sono un gregge di pecore anarchiche”.
Che sia questa l’immunità di gregge di cui parlano i nemici del lockdown? Indro Montanelli vedeva i connazionali “allergici alla convivenza civile, individualisti e campioni di equilibrismo”, affetti da un’atavica assenza di rispetto delle regole. Vizi nazionali che, secondo gli storici, hanno motivazioni antiche. C’è chi ne attribuisce la colpa all’Italia subordinata e disgregata del Sacro Romano Impero, chi se la prende con l’unità territoriale spezzata dall’invasione longobarda nel 568 dopo Cristo e ricostituita solo 13 secoli dopo, chi punta il dito contro l’atteggiamento cortigiano figlio delle dominazioni straniere e della frammentazione in Stati e staterelli.
C’è anche chi mette in conto al Vaticano di aver ostacolato il sorgere dello Stato unitario e di una coscienza nazionale. Oggi la Santa Sede, contro l’epidemia e non solo, invita alla fratellanza e alla solidarietà. La terza enciclica che papa Francesco firmerà il 3 ottobre ad Assisi (dopo Lumen Fidei del 2013 e Laudato si’ del 2015) s’intitola Fratelli tutti e, sulle orme del Poverello, indica nella fraternità e nell’amicizia sociale la via per affrontare il futuro. “Da una crisi non si esce uguali a prima – predica il pontefice – Si esce o migliori o peggiori e la solidarietà è la strada per uscirne migliori”. Per fratellanza Bergoglio intende anche il dialogo con l’Islam e per fratelli i migranti.
Ma nell’Italia abituata a contestare tutto, lo spirito anarchico è duro a morire. “Più tamponi più contagi”, “via la museruola”, “abbasso la dittatura sanitaria del governo”, “l’Oms è al soldo delle multinazionali” strillano i cartelli inalberati alla marcetta su Roma inscenata da duemila negazionisti, risveglisti, sedicenti eretici, mamme in rivolta, no-mask e no-vax riuniti allusivamente in piazza Bocca della Verità. Tra colpi di tosse e starnuti liberi c’è chi fischia il presidente Mattarella, chi brucia l’immagine del papa, chi esibisce Gandhi con il tricolore sovranista, chi rivendica la biodiversità del pensiero e inneggia ai “salvatori” Putin e a Trump.
Strumentalizzazione politica? In piazza non sventolano bandiere di partito, solo vessilli patriottici ma la regia del raduno ha un preciso segno politico. Del resto non accade solo in Italia. Il fronte degli scettici è forte e organizzato anche all’estero, Germania in testa. Sergio Romano osserva sul Corriere della Sera: “Chi soffia sul fuoco della paura non ama le regole della democrazia, le epidemie si combattono con il rigore della disciplina. Uomini come Bolsonaro, Orbàn e Trump non vogliono limiti alle loro ambizioni politiche e per conquistare voti cercano di convincere la pubblica opinione che il miglior modo per affrontare l’epidemia è lasciarle fare il suo corso, sino a quando il virus avrà perso forza”.
La patria, dicava Balzac, è l’egoismo di una nazione. Ma qui il patriottismo non c’entra, ciò di cui abbiamo bisogno è un ordinato senso civico, un disciplinato atteggiamento di responsabilità nazionale. Spesso si ha l’impressione che certi politici giochino al tanto peggio tanto meglio scontrandosi per bassi interessi di bottega contro il superiore interesse nazionale, che siano disposti a rompere il giocattolo pur di ottenere un utile elettorale e che per arrivare a gestire il potere non si fermino davanti ai mezzi più discutibili, pronti a distruggere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nella giustizia, nel bene comune. La cassa di risonanza dei social-media fa il resto.
Che l’Italia si sia dimostrata il Paese più intelligente e “sveglio” di fronte alla tragedia del coronavirus è un dato di fatto e che non lo si riconosca è l’effetto distorto della battaglia per il potere. Che il governo abbia limitato i danni con un tempestivo lockdown rispetto al resto del mondo è sotto gli occhi di tutti. Ma è anche comprensibile che l’opposizione interna provi a intralciare in tutti i modi l’operato del governo. Va bene la lotta politica, ok la critica reciproca anche aspra, ma non si dovrebbe mai perdere di vista il bene supremo, cioè il rispetto per l’autorità dello Stato che è poi il rispetto della casa comune di tutti gli italiani.
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