“Non abbiamo dinanzi a noi la fioritura dell’estate, bensì per prima cosa una notte polare di fredde tenebre e di stenti, qualunque sia il gruppo a cui tocchi la vittoria dal punto vista esteriore”: così Massimo Cacciari in un suo recente saggio, citando Carl Schmitt.
Mentre attorno a noi l’estate così inusitata sta per terminare, si possono cogliere i primi segni dell’autunno: le bacche della siepe si colorano di rosso, le foglie si fanno più chiare, l’erba s’inargenta. Qualcosa è trascorso per sempre, ma non ciò che speravamo trascorso per sempre, e che volevamo dimenticare. Il virus è lì a ricordarci che siamo ancora fragili davanti all’epidemia che ci ha colpiti. Le “fredde tenebre” ricoprono ancor questa “notte polare”. Ci sono tenebre molto più pericolose del virus che girano attorno a noi: sono quelle prodotte dall’uomo.
La prima tenebra è quella rappresentata dalla demagogia che sembra prevalere sul valore della scienza. La demagogia incanta le folle e si oppone alla scienza, la quale, al contrario, calcola, pondera, riconosce anche i suoi errori, ma si basa sempre sulla realtà dei fatti esperimentati, non si lascia trascinare dalle emozioni, ma valuta i risultati. Ci aprono gli occhi i numeri, le statistiche, i fatti raccontati da medici ed infermieri, l’esperienza vissuta dai congiunti di chi è morto, mentre la demagogia travisa i fatti o li legge per proprio interesse. Abbiamo assistito in frequenti trasmissioni televisive a dispute tra scienziati da cui emergevano disaccordi dovuti spesso a narcisismo, ad urgenza di dare risposte certe a problemi non ancora provati, a foga nella comunicazione come se gli orientamenti politici personali, i valori, la propria stessa coscienza dovessero orientare la scienza, mentre è la razionalità, intesa come sviluppo sistematico e metodico della ragione, a guidarla. La demagogia sparpagliata, imbevuta di concezioni magiche, è solo strumento per la diffusione di incertezze e di confusione tra i cittadini, alcuni dei quali invocano a gran voce l’ “uomo forte”.
Infatti, la seconda tenebra che cala su di noi è il primato dell’opinione pubblica sulle rappresentanze democratiche. Il Parlamento è stato chiamato a ratificare norme concordate, dopo estenuanti trattative tra i partiti della maggioranza e le forze sociali, dall’esecutivo, ma tali regole, che tutti sono tenuti a rispettare, vengono riformate o disattese sotto le sollecitazioni petulanti dell’interesse privato. Il che è dannoso per la nostra democrazia rappresentativa: il Parlamento rischia di divenire una Camera delle Corporazioni! Chi in un tempo non remoto invocava i “pieni poteri” ora grida e si accapiglia contro le misure adottate per frenare la pandemia ed accusa il Governo di limitare le libertà fondamentali. Finge costui di non sapere che il Governo adotta i provvedimenti idonei per fermare l’epidemia dopo aver interpellato gli esperti. I provvedimenti possono danneggiare l’economia o gli interessi del singolo cittadino o di specifiche categorie imprenditoriali, ma lo Stato deve tutelare il bene comune, anteponendo i diritti di tutti agli interessi particolari, così come prevede la nostra Costituzione.
Una terza tenebra, rappresentata dal tentativo di far prevalere l’economia sul diritto alla salute, ha offuscato questo tempo di pandemia. Le autorità statali, nel pieno del contagio, hanno imposto anche la chiusura delle industrie e dei luoghi di divertimento e culturali. Molti imprenditori si sono opposti a questo provvedimento, hanno fatto pressione sulle autorità regionali le quali hanno di fatto permesso la riapertura di fabbriche che sono divenute “focolai” di pandemia. Così è accaduto pure per le discoteche che, dopo una prima riaperture, sono state nuovamente chiuse perché il numero dei contagiati aumentava. In entrambi i casi, sia i produttori di beni necessari, sia coloro che offrono consumi superflui devono anteporre il bene primario della salute sull’interesse privato.
Prima che “la notte polare” avviluppi il nostro tempo e la nostra società, dovremo trascorrere giornate di autunno ritrovando il ritmo sereno del nostro vivere quotidiano anche se dovessimo affrontare nuovi disagi.
Alla demagogia dell’urlo dovremmo rispondere con la pacata riflessione sulle vicende che potrebbero essere nuovamente tragiche, accettare la straordinarietà e affrontarle con la dinamica del provvisorio. Dovremmo riscoprire l’importanza e la fecondità di un discernimento comune particolarmente richiesto in tempi di profondo cambiamento, ritrovare la capacità critica per combattere l’insipienza miope, che distrugge tutte le possibilità di comprensione e incapace di considerare i fatti nella loro realtà fino ad essere mortifera quando ci rende incoscienti e irresponsabili. Siamo stati sorpresi da un “imprevisto”. In un primo momento abbiamo fatto fatica a capire. Ora sappiamo che – finché non si troverà un vaccino – dobbiamo rinunciare ad abitudini consolidate: consumi, ipermercati, tablet, viaggi, shopping e sostituirle con due esigenze fondamentali: lavoro e cultura.
Una grande responsabilità incombe sulla politica. Anzitutto tutti i nostri rappresentanti dovranno assumere un maggiore rispetto per le istituzioni e per la Costituzione. Chi ironizza sulle misure prese dal Governo dovrebbe abbandonare il fanatismo, la forza sobillatrice della menzogna, l’accordo a giorni alterni e proporre idee e progetti che possano essere condivisi non con i compromessi, ma con la mediazione, frutto del dialogo e del confronto. La nostra democrazia è ancora fragile anche perché i partiti non hanno una classe dirigente competente. Quella eletta non è frutto di tensione valoriale, ma di rancore, di livore. È una politica corsara, non ancorata alla memoria e senza un orizzonte comune. Mai come in questo momento, la società civile è chiamata a dare una mano ad una classe politica irresponsabile. Coloro che si sono sentiti marginalizzati o addirittura traditi dalla politica dovranno riappropriarsi della politica, sentirsi corresponsabili e non passivi ascoltatori degli imbonitori di turno, dovranno partecipare attivamente agli eventi politici e non contribuire con la loro indifferenza ai giochi di potere dei partiti. Essere corresponsabili significa trovare l’essenza della buona Politica, che talvolta richiede la forza interiore per sfuggire ai richiami dell’ira per ritrovare nel dipanarsi del dialogo, del confronto, dei legami il superiore valore della solidarietà.
La classe politica dovrà avere il primato sull’economia, avere il coraggio di compiere scelte che possono andare controcorrente anche se percepite come nocive ai propri fini elettorali. Una saggia scelta politica sarà apprezzata dagli uomini accorti e preoccupati del bene comune. Non si dovranno sprecare le ingenti energie che l’Unione Europea ha messo a nostra disposizione. Esse dovranno servire, oltre che per terminare progetti in corso, a incidere profondamente sull’essenziale: creazione di nuovi posti di lavoro, scuola e università, sanità. senza compensare la crescita insufficiente con tasse supplementari, ma con il rigore della spesa. Gli imprenditori dovranno sentirsi corresponsabili nell’investire i loro profitti nell’innovazione, nella ricerca tecnologica e sentirsi così partecipi della crescita del Paese. I sindacati dovranno cogliere positivamente lo spirito imprenditoriale delle piccole realtà territoriali, configurare uno statuto dignitosi a chi si prende cura di tutta la comunità: dagli infermieri ai braccianti, dagli insegnanti a chi consegna a domicilio un pacco o un pasto. Tutti dovremo fare la nostra parte così come hanno fatto i nostri nonni e padri all’indomani della seconda guerra mondiale.
Dovremo riempire soprattutto il vuoto etico che – sciaguratamente – si è provato anche durante questi giorni provati dalla sofferenza. L’etica dovrà dirci come comportarci, la politica darci nuove visioni, l’economia fornirci i mezzi necessari. E dopo la “notte polare” sorgerà un nuovo sole “che illuminerà il tempo della mietitura” (Vangelo di Marco).
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