Cari amici Onirio e Sebastiano, mi perdonerete se vi lascio un po’ in disparte, per questa volta e per qualche altra Apologia. Voglio dedicare le prossime alla città di Varese, per amore e anche un po’ per rabbia, vedendola in difficoltà, perché continuo a sentirmi Varesino doc, pur abitando a Comerio dal matrimonio in poi.
Già questa è una prima osservazione importante: la città non finisce più dove terminano i confini comunali, ma trae valore e non solo forza economica dal contesto ambientale, civile e produttivo in cui si trova. Non si tratta più del tradizionale schema città/campagna, della possibile contrapposizione tra produzione e consumo, tra centro di servizi e periferia popolosa, ma si impone la necessità di rendere ottimali i rapporti tra componenti diverse, tutte con pregi particolari, non sufficientemente valorizzati dal perdurare di uno schema di relazioni centralizzate, eredità non meditata delle due fasi principali di costituzione dell’attuale contesto cittadino, prima quella del duplice collegamento ferroviario, poi quella della creazione del capoluogo di provincia, con l’aggregazione amministrativa dei comuni viciniori e la collocazione sul territorio degli uffici di governo.
A questo punto però, mi sembra utile introdurre una riflessione su come nasce una città.
L’origine: il patto fondativo
Ogni convivenza, la più piccola o la più grande, la più primitiva od evoluta, si fonda su un patto tra persone libere. Componenti del patto sono il legante e l’interesse. Questi due elementi devono essere tenuti distinti, ma sono ambedue indispensabili.
Il legante può essere naturale: familiare, un legame di sangue di sangue che si estende a chi viene chiamato a parteciparvi o un fatto unitivo rilevante: un beneficio ricevuto da un gruppo eterogeneo che da quel momento diventa coeso oltre i legami di sangue.
Alle origini si ricollegano i riti e il mito fondativo.
La convivenza aggrega interessi ulteriori al patto fondativo, che però rimangono secondari.
L’aggregazione di interessi diversi consente di sopportare la creazione di disuguaglianze all’interno del patto, la principale è la nascita della dualità (non necessariamente dualismo) città/campagna.
Trascurando il caso in cui sia un potere esterno a dettare le regole (un vincitore, es.: impero, un feudatario), il primo punto di coagulo città-campagna è il mercato. Mercato significa scambio DI MERCI, CIOÈ DI INTERESSI IN SENSO PIU’ VASTO, ma anche accettazione reciproca di legge e regole, quindi sicurezza.
A differenza del castello feudale, che difende solo il signore, la città deve difendere sia i propri abitanti, sia quelli del contado, da cui dipende per la sussistenza e che dipendono da essa per lo scambio dei prodotti della terra con quelli, materiali e immateriali, della città. Ma per quanto riguarda lo sviluppo, i cittadini sono privilegiati dalla vicinanza dei servizi che lo promuovono: scuole, chiese, tribunali, presidio militare, poi ospedali e università, infine artigiani e industrie. Il buon governo consiste nel mettere a disposizione questi servizi in modo equo.
Il caso di Varese
A confronto con la maggior parte degli altri capoluogo della Lombardia la storia di Varese come città è del tutto minima. Rimane un borgo attorno ad un mercato e un crocevia, ville signorili e conventi nel tessuto verde tra il borgo e le castellanze. Nel territorio la bachicoltura fornisce la materia prima alle filande, ma l’industria della seta non ha lo sviluppo della vicina Como, (che è il suo capoluogo). Acquisisce il titolo di città solo nel primo ottocento, forse per il merito di aver ospitato la residenza estiva di Francesco III Este, imparentato con gli Asburgo e per questo nominato governatore della Lombardia, (titolo onorifico, senza effettivo potere). Le porte, di cui si è perduta la traccia materiale e quasi la memoria racchiudevano una parte minima della città attuale, lasciando a sé le castellanze. Il primo sviluppo cittadino raggiunge le castellanze con uno schema a raggiera.
L’unità d’Italia porta le ferrovie, il turismo, l’industria, in particolare la filiera della pelle. Alla fine del secolo XIX e all’inizio del XX il sistema ferroviario diventa europeo, con l’apertura delle gallerie del Gottardo e del Sempione, i cui tracciati lasciano Varese ai margini, favorendo la Brianza e l’Alto Milanese. Il “Varesotto” ammesso che esista già la locuzione, è un piccolo territorio che non ingloba Gallarate, né Tradate né Luino
L’innovazione che avrà conseguenze impreviste è la creazione di un giornale quotidiano locale, la ‘Cronaca Prealpina’ il cui successo, pur limitato all’ambito locale, crea un collante culturale e un centro d’attrazione che va oltre i confini di quell’iniziale ‘Varesotto’.
Infatti, dopo la prima guerra mondiale e l’affermarsi del fascismo, furono il giornale e il suo fondatore, Giovanni Bagaini a promuovere l’evento che fa di Varese un capoluogo di provincia nel 1927, Poco dopo il territorio comunale venne ampliato con l’aggregazione dei comuni limitrofi di Bizzozero, Bobbiate, Capolago, Induno Olona, Lissago, Masnago, Sant’Ambrogio Olona, Santa Maria del Monte e Velate (Induno Olona ritornerà comune autonomo nel 1950).
Diventare capoluogo amministrativo di una provincia piccola per territorio, ma in fase di espansione industriale, è per Varese l’occasione di un salto qualitativo, in parte inaspettato, per cui la città e la sua classe dirigente forse non erano nemmeno preparate. Il policentrismo della provincia, anomalo rispetto alla stragrande maggioranza delle altre situazioni, ha probabilmente costituito un freno importante, insieme al posizionamento geografico, che confina la parte alta della provincia tra il lago Maggiore e la Svizzera.
Questo freno è indubbiamente evidente nello sviluppo delle infrastrutture ferroviarie: i prolungamenti delle ferrovie oltre Varese, a Laveno e a Porto Ceresio, pur utili alla città, volevano avere inizialmente una valenza turistica. Lo stesso collegamento autostradale, primo in Europa, finisce a Varese senza sbocchi, proseguendo invece da Saronno e da Gallarate, in parallelo alle direttrici ferroviarie, verso il Sempione e il Gottardo.
La pur modesta vocazione turistica di Varese e dell’alto Varesotto è andata sempre più declinando a partire dagli anni 50. La soppressione del sistema tranviario e del collegamento via funicolare con Sacro Monte e Campo dei Fiori è stato il colpo di grazia. Non ci abbiamo fatto caso, travolti dall’onda della rapida industrializzazione e dalla sua natura polisettoriale, che ci hanno messi al riparo dalle ricorrenti crisi del tessile, fortuna e condanna della parte meridionale della provincia.
Dagli anni 70 ad oggi è però in atto tuttora una progressiva diminuzione della vocazione industriale e anche direzionale di Varese e dell’immediato Hinterland. (Calzaturificio di Varese, Concerie e Valigerie, Credito Varesino, con ulteriore possibile diminuzione di sportelli e forza lavoro dopo la fusione con ISP, direzione EMEA di Whirlpool, Malerba, Aermacchi, Harley Davidson – Cagiva, occhialeria assorbita e chiusa da Luxottica, Cartiere della Valle Olona, Carrozzerie, e molte altre realtà più piccole). Il parziale e costoso riavvio della funicolare Sacro Monte, frenato da una importante rottura di carico, da solo non può riavviare un flusso turistico alternativo a quello automobilistico.
Tutto indica l’evoluzione verso una città-dormitorio, meno brutalmente, a vocazione residenziale.
UN NUOVO PATTO FONDATIVO
Si può dubitare che all’origine della Varese odierna ci sia un vero patto; più realisticamente, la sua creazione come capoluogo fu un atto d’imperio, in parte motivato dalla volontà del regime fascista di costituire uno strumento di governo, Prefettura e Questura, per controllare la zona di confine con la Svizzera, luogo di presenza e di attività di fuorusciti politici. Paradossalmente, un atto centralizzatore, travestito da decentramento. Diventando capoluogo, Varese può ambire a diventare città in senso pieno, ma incontra molta fatica. Le manca quel vasto entroterra vallivo che caratterizza, per esempio Bergamo o Brescia; la parte meridionale della provincia gravitava già naturalmente verso Milano e ama definirsi Alto Milanese (giammai Basso Varesotto, li capiamo pure noi), il Luinese stesso vuole affermare una diversa identità. Persino l’organizzazione ecclesiastica contribuisce alla frammentazione: rimane tuttora uno dei pochissimi capoluoghi che non sia sede diocesana, dipendendo da Milano e per una piccola parte da Como. Tutte queste condizioni limitanti sembra destinate ad accentuarsi nel prossimo futuro, per la sempre maggiore attrattività di Milano, per la crescita dell’aeroporto della Malpensa, i cui necessari collegamenti sono orientati principalmente verso la metropoli, per gli sviluppi ferroviari del Gottardo e del Sempione, che lasciano il Varesotto in posizione defilata.
Occorre un nuovo progetto di città? Può essere la prossima consultazione elettorale l’occasione per delineare un piano di rilancio? Purtroppo sono convinto che da sola, Varese non ce la può fare, non è in grado di rilanciarsi.
CONCLUSIONE PROVVISORIA
Occorre un nuovo patto fondativo, che coinvolga altri soggetti: da un lato Milano come area economica e la Regione come soggetto contraente, dall’altro i comuni circonvicini, che devono essere indotti a sentirsi parte attiva e responsabile della città. Ci riferiamo a titolo di esempio e in via principale a Gazzada, Azzate, Buguggiate, Casciago, Induno, Malnate, Lozza, Morazzone, Brunello, mentre un secondo anello comprenderebbe Valceresio, Valganna, il Lago, Vedano, Venegono sup. e inf., Castronno, Albizzate, Daverio, Crosio, Mornago.
Considerazioni simili potrebbero essere fatte nei confronti della PROVINCIA e della REGIONE. La differenza è che oggi la Provincia è oggi un soggetto troppo debole e la Regione Lombardia un soggetto troppo più forte e troppo condizionato dalla metropoli Milano.
CHE COS’È UN PATTO FONDATIVO
Molto più di un programma operativo è una scelta di principio: l’impegno a operare su un territorio per rendere equivalenti (non identiche, per salvaguardare il valore delle diversità) le opportunità civili, sociali, culturali ed economiche di tutti i cittadini, dovunque domiciliati.
Oggi potrebbe non essere necessario un vero e proprio atto giuridico, sottoscritto da persone o enti contraenti. Non si tratta di attuare una unione di comuni, forse nemmeno singole convenzioni su servizi o sull’uso del territorio secondo strategie concordate. Occorrerebbero livelli di consenso difficili da raggiungere. Penso piuttosto ad iniziative unilaterali del Comune di Varese, per cominciare a gettare un sasso nello stagno, su due livelli uno interno e uno di collegamento con i comuni più vicini. Chiamiamo il primo: VALORIZZAZIONE DELLE PERIFERIE e il secondo: VALORIZZAZIONE DELLA CORONA.
Con queste affermazioni entriamo però in un campo minato: quello dei programmi delle forze politiche che si contenderanno nella prossima primavera il governo di Varese e non è mia intenzione avviare ora un confronto di questo genere. Anzi, siccome l’attuazione di una tale proposta richiederebbe molto tempo ed una convergenza d’intenti che dovrebbe eccedere la disponibilità al dialogo e alla collaborazione finora manifestata dalle forze politiche attualmente in campo, a sigillo di questo primo intervento, voglio ribadire con chiarezza e determinazione che nessuna delle proposte concrete e attuative che seguiranno potrà essere considerata patrimonio di alcuna forza politica, partito o lista civica, esistente o futura.
A maggior ragione questa precauzione dovrà valere quando affronteremo temi di dimensioni regionali o provinciali, toccando argomenti, un esempio necessario è la sanità territoriale, le cui leve di comando non sono nelle mani degli enti locali. La descrizione delle varie ipotesi servirà più ad aprire confronti e a richiedere valutazioni di fattibilità, piuttosto che ad individuare soluzioni categoriche e definitive. Quindi da questo momento la richiesta di collaborazione è aperta a chiunque lo voglia, non solo ai cari Onirio e Sebastiano, che ringrazio per la paziente attesa.
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