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Urbi et Orbi

AURELIA NOSTRA

PAOLO CREMONESI - 24/07/2020

viaaurelia

La via Aurelia in una foto del 1870

“Statale 17, il sole cade a picco” canta l’ottuagenario Francesco Guccini. E tutte le volte che ascolto le strofe, pur essendo ambientate in America, penso all’Aurelia che dalla Francia arriva nella mia città. In questa Roma stanca, sgonfiata come un materassino bucato, timorosa della ripresa autunnale, da cui ci si sposta ogni fine settimana lungo le consolari (una straordinaria rete di arterie costruite dai romani che si snoda su cinquantatremila miglia) per raggiungere le regioni confinanti: è l’Estate 2020, targata Covid.

L’Aurelia non è famosa solo per le celebre sequenze de ‘Il Sorpasso’ con un Bruno Cortona (Vittorio Gassman) ed il suo compagno di viaggio Roberto Mariani (Jean Louis Trintignant) impegnati in un ritratto di un’Italia borghese e caciarona ma allo stesso tempo baciata dal boom economico. Questa è la strada che più di altre negli anni sessanta ha rappresentato un mito collettivo verso la vacanza, l’evasione, che ha accompagnato l’Italia nella sua storia, dall’impero romano alla Lancia Aurelia (appunto) dal tragico finale del film.

La costruzione del primo tratto della consolare che collega Roma a Cerveteri inizia nel 251 avanti Cristo, per allacciare la capitale alle colonie etrusche appena conquistate. Costruita su solide fondamenta di pietra frantumata, con una pavimentazione in superficie fatta da massi del peso di 90 chili ciascuno, fu poi prolungata poi sino alla Toscana. Nel corso dei secoli, seguendo le alterne vicende del potere romano è diventato il tracciato di quella che oggi è conosciuta come SS1: 962 chilometri che si snodano tra Roma ed Arles, passando attraverso Ventimiglia, Nizza, Tolone e Marsiglia.

“Una strada bellissima” scriveva Flaubert al suo amico Alfred de Poittevin. “Sotto a noi” aggiungeva Hemingway “sorgono colline piene di boschi di querce e di castagni, e in basso, più lontano, si scorge il mare’. Era domenica e la strada, ora in salita e ora in discesa, attraversa macchie e villaggi. […] Le case sono bianche e gli uomini, nei loro vestiti della festa, giocano a bocce in mezzo alla strada. Contro i muri di qualche casa i peri sembrano candelabri sullo sfondo di bianche facciate”

Nel 1928 l’Aurelia passa in gestione all’A.A.S.S., la neonata azienda autonoma statale delle strade, che sistema ed asfalta l’arteria, (in territorio italiano misura 727 km), rendendola una moderna arteria. Oggi ovviamente dell’impianto originario è rimasto ben poco. La maggior parte del traffico automobilistico preferisce incanalarsi lungo la A12, l’autostrada che fiancheggia la consolare sino a Tarquinia per poi ricongiungersi in una lunga superstrada. Ma per i nostalgici non è difficile rintracciare il vecchio tracciato delimitato da grandi pini marini, borghi caldi e assonati, stazioni di servizio con annessa bancarella di pane, porchetta, vino bianco. Di fianco le placide onde del Tirreno. Basta lasciare Roma all’altezza del raccordo anulare per immergersi nell’ agro romano ancor oggi sede di importanti allevamenti e possedimenti agricoli. Torre in Pietra, Civitavecchia, Tuscania. I luoghi attraversati evocano nei nomi antiche culture.

Se tutte le strade portano a Roma, come dicevano i latini, la Via Aurelia è la strada che per antonomasia porta via dalla capitale. Dove? Non importa: verso il mare, i balli, la vita spensierata della spiaggia. L’importante è andare. Senza un piano preciso, in cerca di divertimenti, donne, cibo, vacanza. Un rito collettivo anche se ossequiato solo per andare a Fregene con nel bagagliaio il tavolo da picnic e le seggioline di plastica da piazzare a bordo pineta. Crisi o non crisi, ricchi o poveri, romani e no, in coda all’andata e al ritorno sull’Aurelia, pur di lasciare la capitale. Pur di sognare per un giorno. “Un imprevisto” scriveva Montale “è la sola speranza”.

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