Se vogliamo rinnovare la vita cristiana, non possiamo tacere la lezione e la pratica dell’umiltà. L’uomo veramente religioso non può non essere umile. Perché l’umiltà è verità. Due sono i malanni capitali della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più gravi dell’umanità: l’egoismo e l’orgoglio. L’uomo allora fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita; egli si fa primo; si fa unico. La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri.
«Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno nell’egoismo e nell’orgoglio il loro bacino di coltura, dove tanti istinti umani e tante capacità d’azione trovano il loro profondo alimento, ma dove l’amore non c’è più – questa l’analisi di Paolo VI, che risale ad un’udienza del 5 febbraio 1975 – Ed anche dove questo sovrano sentimento ancora sopravvive, ma intriso d’egoismo e d’orgoglio, si deprava; diventa egoismo collettivo, diventa orgoglio di prestigio comunitario. L’amore ha perduto la sua migliore caratteristica cristiana: l’universalità, e la sua vera autenticità, il suo sincero disinteresse, la sua meravigliosa capacità di scoprire, conoscere, servire le sofferenze degli altri, con cuore magnanimo, come Cristo con la parola e con l’esempio c’insegnò»
Gesù era maestro nel gestire le relazioni: non si perde in critiche o giudizi, ma cerca un primo passo possibile, cerca gesti e parole che sappiano educare ancora. E inventa qualcosa di inedito: un abbraccio e un bambino: Dio è così. Al centro della fede c’è un abbraccio tenero, caloroso. Al punto da far dire ad un grande uomo spirituale: “Dio è un bacio” (Benedetto Calati, abate). Gli fa eco papa Francesco: “Gesù è il racconto della tenerezza di Dio”, un Dio che mette al centro della scena non se stesso, ma la carne dei piccoli, di chi non ce la può fare da solo.
Ma Gesù arriva ad identificarsi: “chi accoglie un bambino accoglie me”. Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l’accoglienza, il servizio qualificheranno la nostra civiltà (“il primo si faccia servo di tutti”). Se saremo capaci di far entrare dentro la nostra vita qualcuno di questi piccoli, allora, nella gioia dell’abbraccio, sentiremo di avere il Signore con noi!
«Nella mia comunità, Signore, aiutami ad amare, ad essere come il filo di un vestito. Esso tiene insieme i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto che ce l’ha messo. Tu, Signore, mio sarto, sarto della comunità, rendimi capace di essere nel mondo servendo con umiltà, perché se il filo si vede tutto, è riuscito male. Rendimi amore in questa tua Chiesa, perché è l’amore che tiene insieme i vari pezzi» (Madeleine Delbrel)
You must be logged in to post a comment Login