Provo a selezionare qualche informazione sulla situazione attuale del Brasile sia sul versante sanitario che su quello politico istituzionale, consapevole della sottovalutazione che l’opinione pubblica mostra verso una delle tragedie più terribili di questo secolo.
Per quanto riguarda la pandemia i casi confermati sono al momento 1.800.000 circa con una mortalità leggermente al di sotto del 4% che porta a oltre 70.000 perdite. Numeri indicativi che coprono sottostime e differenze regionali marcate, ma che hanno la loro importanza oggettiva perché è in base ad essi che vengono poi assunte le misure amministrative. E al momento la tendenza è ad una parziale ripresa delle attività lavorative, molto sollecitata dal governo federale e da imprenditori; una riapertura un po’ confusa (cioè spesso con indicazioni contradditorie e di non facile comprensione) della vita cittadina con una esplosione continua del contagio soprattutto tra gli emarginati e gli indios.
Sul piano politico istituzionale il quadro è molto movimentato: Bolsonaro è risultato positivo al virus ma continua in esercizio e non si hanno bollettini medici. L’esecutivo registra l’uscita (difficile distinguere se per dimissioni, espulsioni o fughe) di diversi ministri. La divulgazione del video del consiglio dei ministri dello scorso 22 aprile ha rivelato uno scenario di litigiosità e affermazioni anticostituzionali di diversi ministri (e non solo) che ha spinto alcuni dei tribunali federali ad agire.
Devastazione dell’Amazzonia. La responsabilità ricade su Bolsonaro, ma anche anche sul vicepresidente generale Hamilton Mourão presidente del Consiglio amazzonico composto predominantemente da militari. Militari che peraltro nel governo Bolsonaro sono quasi 3000 distribuiti far i tre poteri a vari livelli. La cosa interessante è la relativa rapidità con cui in questo mondo interconnesso e virtuale le informazioni riservate, nascoste, sigillate vengono a galla. Ma, come è successo per Ustica in Italia, le alte sfere sono solo sfiorate.
In questo momento ci sarebbe un bisogno incalzante di scendere in piazza ancora e ancora, ma non si può per il contagio vivacissimo e implacabile. Particolarmente importante e significativa è stata la grande, davvero grande, manifestazione con sciopero del 1° luglio degli “entregadores de aplicativos”, riders, fattorini sulle cui spalle, fuor di metafora, è ricaduta e ricade buona parte della logistica urbana.
Un lavoro che dovrebbe essere un ripiego, un tappabuchi, qualche cosa di provvisorio o complementare, ma che è diventato l’unica fonte di reddito per almeno quattro milioni di brasiliani.
Da ultimo, è stata sospesa la commemorazione che si tiene ogni anno a San Paolo
per ricordare l’apporto del battaglione brasiliano (gran parte italiani emigrati) alla guerra di liberazione in vicinanza del 25 Aprile. Si è voluto trascurare un debito di riconoscenza e rispetto verso tutti coloro – stati, eserciti, combattenti, organizzazioni e singoli cittadini e cittadine– che, per motivi diversi, hanno contribuito alla sconfitta del nazismo e del fascismo: quest’ultimo, ben precedente al primo, prodotto nell’ambito della società e della cultura italiana, ed esportato, dilagando, all’esterno. E che ancora troppo spesso e in troppi luoghi vuole manifestarsi e occupare, magari sotto mentite spoglie, le istituzioni. Ancor oggi spesso in iniziative democratiche e antifasciste in Brasile, Bella ciao! è una canzone che, a distanza di anni, è diventata voce di riferimento e speranza. Ce n’è bisogno!
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