(O) La più bella apologia paradossale della settimana è già stata scritta, non ci resta che ripeterla. Mi riferisco alla lettera aperta di un centinaio di intellettuali americani di cultura liberale che hanno pubblicato su Harper’s Magazine (da non confondersi con la rivista di moda Harper’s Bazaar) un appello accorato per la difesa della società aperta, sia dai già noti nemici ‘conservatori’, magnificamente impersonati da Trump, sia dai più sottili, ma altrettanto temibili censori di tutto quanto non sia perfettamente allineato con le idee dei sostenitori dei nuovi diritti. L’occasione è stata ovviamente generata dalle proteste innescate dal caso George Floyd e da quel movimento Black Lives Matter il cui principale esito, finora è stato l’abbattimento delle statue degli ‘indegni’, perché razzisti o semplicemente avversari politici delle correnti più progressiste. Credo valga la pena di parlarne, anche dopo qualche giorno e quindi già uscita dall’ attenzione dei mezzi di comunicazione, proprio per capire come mai ha avuto così scarsa eco in Italia.
(S) Ha avuto scarsa eco da noi, proprio perché anche il fenomeno che l’ha innescata, l’iconoclastia verso le immagini di personaggi controversi non ha avuto grande spazio: Montanelli, Cadorna e non so chi altro. La ragione per cui vale la pena parlarne è proprio italiana, è il silenzio assordante in cui sta passando in parlamento la cosiddetta legge contro l’omofobia e la transfobia, che evidenzia un caso tipico di quella cultura illiberale e censoria che arriva a creare un delitto di opinione sotto le mentite spoglie di difendere una minoranza degna di rispetto non soltanto dalle offese, ma persino dall’altrui opinione. Vorrei che provassimo a capire dove sta il ‘giusto mezzo’. Infatti sono sempre più convinto che la virtù, come dice un vecchio proverbio, “stia nel mezzo”. Come esempio vi porto il logo della Fondazione Comunitaria del Varesotto, che riprende dagli affreschi della Sala dei Vizi e delle Virtù del Castello di Masnago, quello in cui la virtù della Liberalità sta in mezzo ai vizi dell’Avarizia e della Prodigalità. La stessa cosa vale per tutte le virtù, quindi, a maggior ragione per la politica, che di tutte le virtù dovrebbe essere il compendio e che invece finisce per manifestare quasi sempre i vizi opposti.
(C) Di primo acchito sarei tentato di darti ragione. Ricordo che quando entrai in politica, molti anni fa, col gruppetto di amici con cui condividevo quel tentativo, fummo definiti ‘estremisti di centro’. Un ossimoro, ma quasi lusinghiero, benché, provenendo dalla sinistra marxista, suonasse come una critica tagliente.
Oggi il ‘giusto mezzo’ nell’etica, come nelle arti o come il centro in politica, sembra del tutto fuori moda. Il giusto mezzo lo invoca il filosofo Galimberti, per rimediare allo smarrimento globale, tra nichilismo e ‘dittatura del desiderio’, il centro lo rincorrono il politici di destra e di sinistra, ma solo per fagocitarlo nella loro strategia elettorale. Ma già nel caso che mi proponete non riesco ad individuare questa medietà. Gli autori della “Letter on Justice and Open Debate” sono schierati politicamente a sinistra e tuttavia appaiono anteporre la libertà e i suoi metodi ad una domanda immediata e rivendicativa di giustizia: sono estremisti della libertà. Al contrario i manifestanti dei vari movimenti ‘estremisti della giustizia’ arrivano a negare non solo la necessità di ricollocare nel loro tempo i protagonisti della storia le cui azioni oggi apparirebbero controverse, ma negano pure la libertà di avere e di esprimere opinioni diverse da quelle che una corrente di pensiero oggi maggioritaria ritiene indiscutibili.
Un buon esempio di questa difficoltà di comprendere le ragioni dell’altro viene proprio in questi giorni dalla Polonia, dove le elezioni presidenziali sembrano aver manifestato una perfetta spaccatura in due parti della Nazione, sommariamente descrivibili in conservatori o sovranisti da una parte e in progressisti o europeisti dall’altra. Tutto questo grazie ai nostri criteri interpretativi ‘occidentali’, che non tengono conto di altre ragioni, socio-economiche o etico-culturali, proprie della storia e della realtà polacca, che hanno avuto un peso probabilmente maggiore di quanto immaginiamo.
Perciò se mi chiedete chi preferisco dei due movimenti americani, rispondo: ovviamente quello della Lettera, perché almeno lascia a tutti e a ciascuno la possibilità di mantenere e di esprimere le proprie opinioni, benché spesso solo formalmente, accettando di restare all’interno di una egemonia culturale, come accade alla Chiesa cattolica in Italia, dal Risorgimento ad oggi. Lo sforzo apprezzabilissimo degli autori della lettera è riassumibile in questo assunto: “We refuse any false choice between justice and freedom, which cannot exist without each other”, che tradurrei: “ Rifiutiamo ogni falsa scelta tra giustizia e libertà, che non possono esistere ciascuna senza l’altra”.
Ma subito dopo appare il limite della posizione, che è l’intellettualismo: “As writers we need a culture that leaves us room for experimentation, risk taking, and even mistakes”. “Come scrittori abbiamo bisogno di una cultura che ci lasci spazio per sperimentazione, prendere rischi, e persino errori”. Il popolo, invece, cioè la totalità delle persone, intellettuali compresi, ha bisogno soprattutto di verità, di giustizia, magari di comprensione e di perdono, in concreto di essere educato, amato e confortato da giudizi chiari e vitali.
(O) La cultura cristiana avrebbe una richiesta più esigente nei confronti della società? Non solo la libertà di esprimersi?
(C) la Letter si conclude con una scelta di metodo totalmente condivisibile, che mi consente di dar ragione all’assunto iniziale di Onirio: la Letter è una bella apologia paradossale: “If we won’t defend the very thing on which our work depends, we shouldn’t expect the public or the state to defend it for us”. “Se non vogliamo difendere noi la cosa stessa da cui dipende il nostro lavoro, non dovremmo aspettarci che il pubblico (la società), o lo Stato la difendano per noi”. La creatività è per lo scrittore quello che è la fede per il cristiano: la ragione di vita. Per questo non basta stare nel giusto mezzo, occorre cercare il meglio, anzi quel ‘tutto’ che è l’essenziale. La santità, che la Chiesa ci propone ogni giorno come ideale, non è fatta della somma di ‘giusti mezzi’, ma di tensioni al meglio in ogni direzione e non dipende dalle circostanze esterne, rese favorevoli dal mondo, ma da noi stessi, dalla nostra fede personale.
La stessa cosa, caro Sebastiano, vale per la politica, nonostante occorra conoscere anche l’arte del nobile compromesso, per poter collaborare con tutti: senza una forte tensione al meglio, anzi al massimo possibile sia di giustizia sia di libertà, lo sballottamento delle circostanze prevarrà sulla bontà delle intenzioni e ci sembrerà sempre di attraversare uno stato di emergenza. Proprio come ora, a qualcuno.
(O) Onirio Desti (S) Sebastiano Conformi (C) Costante
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