I dati sono più che allarmanti. Come ha rilevato la più recente indagine della Camera di Commercio di Varese a luglio le ore di cassa integrazione in deroga hanno toccato i 7 milioni, un dato perfino superiore a quello di interi anni successivi all’esplosione della crisi finanziaria del 2008, interessando ben il 12% delle imprese e il 9% degli addetti. Le stesse considerazioni valgono per la cassa integrazione ordinaria dove, nel solo mese di aprile, in provincia di Varese sono stati autorizzati 15 milioni di ore”.
Al blocco quasi totale delle attività produttive in marzo e aprile ha fatto seguito in maggio una lenta ripresa non solo per le difficoltà operative per rispettare i protocolli di sicurezza e adeguare le modalità di lavoro, ma anche per il vuoto che si è creato negli ordinativi sia dall’interno che, ancor più pesantemente, dall’estero.
L’industria varesina infatti è molto legata alle esportazioni che ormai non sono più solo semplici forniture di beni, ma richiedono una serie di servizi collegati, dal montaggio dei macchinari all’avviamento e alle prime manutenzioni. Alle difficoltà di movimento del personale si è poi aggiunta la concorrenza dei fornitori esteri, in particolar modo della Germania le cui misure di contrasto alla pandemia non hanno fermato l’operatività delle imprese.
L’emergenza lavoro è destinata, purtroppo, a presentarsi con ricadute drammatiche alla fine dell’estate quando necessariamente dovranno essere superate le misure di emergenza come la cassa integrazione per le piccole imprese e il blocco dei licenziamenti.
Come ha osservato ancora l’analisi della Camera di commercio “anche nella nostra provincia, è stato inevitabile registrare una riduzione delle assunzioni nei mesi di marzo (-41%), aprile (-71%) e maggio (-61%). Questo a fronte di un parziale incremento delle cessazioni, dovuto alla conclusione naturale e al mancato rinnovo dei contratti a termine: -84% nel settore della somministrazione, -65% in quello dell’apprendistato e -59% per il tempo determinato. Tutte forme contrattuali che interessano maggiormente i giovani. L’altra fascia a rischio è rappresentata dalle donne. In primo luogo perché anch’esse sono abitualmente più coinvolte da contratti flessibili e poi perché la complicata situazione famigliare, come conseguenza della chiusura di scuole e altri servizi di cura, si ripercuote negativamente sulla loro possibilità di partecipare al mercato del lavoro, spingendole a farsi carico della famiglia, anziché provare a cercare una nuova occupazione”.
La mancanza di lavoro, solo in parte economicamente compensata dai sussidi, non può che ripercuotersi sui consumi con un moltiplicarsi degli effetti negativi per l’andamento dell’economia.
I dati statistici sono solo una parte della verità perché se è vero che la frenata è stata drastica e improvvisa è altrettanto vero che sul fronte delle imprese è emersa quella che viene chiamata “resilienza”, cioè la capacità di adattamento alle circostanze avverse facendo fino dove possibile emergere anche nuove impreviste opportunità.
È stato così per le industrie tessili che hanno rapidamente risposto alle esigenze di fornitura dei dispositivi di protezione personale come le tute e le mascherine per il personale sanitario la cui mancanza è stata uno dei fattori che hanno impedito all’inizio il contrasto alla pandemia. Un’altra opportunità è stata il passaggio al lavoro a distanza mantenendo viva l’operatività delle imprese, in particolare nei servizi.
Quello che tuttora manca tuttavia è una vera politica del lavoro per rispondere all’emergenza soprattutto dei giovani e delle donne, ma anche per sostenere l’intero sistema economico in modo da uscire dalle secche della crisi. E le misure da prendere vanno ben oltre quelle fino ad ora adottate e peraltro vanno nella direzione opposta rispetto a quanto è stato fatto negli ultimi anni. Gli incentivi al lavoro sono l’esatto contrario dei finanziamenti al non-lavoro come il reddito di cittadinanza e soprattutto quota 100, provvedimenti che hanno appesantito la spesa pubblica e tolto risorse a possibili interventi, come gli incentivi alle assunzioni con sgravi contribuivi e fiscali.
Nei prossimi mesi la politica dovrebbe fare un salto di qualità, ma per ora non se ne vedono i presupposti. Con il rischio che anche i possibili finanziamenti europei restino sospesi per la mancanza di chiara progettualità e di un nuovo senso di responsabilità.
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