È un momento difficile. Lo è perché vorresti che fosse tutto finito, che la libertà tornasse a essere la bandiera attorno alla quale legare le tue speranze, ma la realtà non concede fughe in avanti, mantiene fermo l’occhio sul presente con tutti i suoi problemi e le sue incertezze. Sei sempre sotto tiro, sulla difensiva. Il virus perde forza ma non molla, il mondo del lavoro è profondamente in crisi, molti negozi non riaprono, i soldi promessi arrivano solo in parte e nella maggior parte dei casi bisognerà aspettare ancora un anno e sperare che chi deve fare i conti e investire lo faccia con coscienza di causa. Nell’aria si respira rassegnazione, demotivazione, rabbia, frustrazione, c’è gente che non ce la fa, che aspetta un aiuto. C’è un’attività imprenditoriale che non riesce a decollare e la visione è coperta da un fitto velo di nebbia. C’è chi bazzica gli spazi aperti vivendo alla giornata, chi pensa ancora che l’Italia sia la patria di una facoltosa società industriale, c’è chi guarda verso l’Europa convinto di esserne parte, di poter contare sull’aiuto richiesto, in molti casi con quel patetico modo di fare all’italiana che indispettisce e che dimostra quanto il paese in alcuni momenti sia privo di motivazioni profonde, quanto sia caratterialmente fragile, incapace di camminare dritto verso la riconquista, dimostrando sul campo di avere le idee chiare e di saperle mettere in pratica.
Di fronte a problemi grandissimi, che chiedono soluzioni immediate, la politica si divide sempre di più e perde tempo. Ormai sappiamo tutto, non abbiamo più bisogno di spettacoli teatrali. Quel popolo un po’spaurito e in parte molto disinformato del dopoguerra, prende sistematicamente coscienza della sua condizione, ora è in grado di analizzare, valutare, esprimere giudizi che non siano solo sentenze vittime di pregiudizi. La gente vede, la gente ascolta, la gente si pone dei problemi e cerca di dare delle risposte, la gente ama il proprio lavoro e il proprio paese, non vuole entrare nel vortice di un pietismo di maniera, vuole che chi ha il potere lo usi per risolvere i problemi, tagliando fuori la burocrazia, causa prima di tutti i mali che condannano il paese a un immobilismo senza futuro. Molti cittadini si domandano se questa sia la rappresentanza che volevano, se questo sia il modo di operare in un momento che richiede il massimo dell’operosità individuale e collettiva. Spesso si fermano e si guardano attorno, sperando che la scuola torni a essere il luogo educativo per eccellenza, l’incontro vero dell’umanità con la sua storia, le sue emozioni e i suoi sentimenti, si fermano pensando che la pandemia abbia insegnato molto, abbia messo in luce davvero fino in fondo il cuore dell’uomo e quel mondo dei bisogni e delle necessità di cui tutti hanno bisogno soprattutto quando le cose vanno male.
La democrazia c’è, esiste, ha una voce, vorrebbe usarla, ma spesso il respiro è corto, le parole, quelle che contano, si perdono per strada o vengono assorbite da varie forme di egoismo o di furbizia congenita. Il cittadino non ha solo sensazioni, ma percezioni che nascono da dentro, passate al vaglio di una prosa filmica che non si lascia sorprendere, che sta attenta, che cerca di collaborare al massimo con i dettami costituzionali e con le imposizioni istituzionali. C’è dunque una democrazia viva che non riesce a decollare, che rimane incastrata in vizi di forma, che non riesce a focalizzare bene gli obiettivi da perseguire, che invece di imporsi si lascia condurre al guinzaglio da chi non prende decisioni e continua a rimandare, magari aspettando che succeda qualche miracolo. La democrazia ha voglia di fare, di inventare, di includere, di creare, vive una sua volontà di rivincita sulla sfortuna e sulle debolezze umane, ma chissà perché non riesce a trovare la forza sufficiente per scuotere gli animi da torpori che si sono solidificati con il passare del tempo e che le impediscono di rinnovarsi, di saper guardare oltre i confini privati, di saper mettere insieme le forze migliori per cambiare l’immagine di un mondo che manca di passione, di entusiasmo, di sentimenti alti, di motivazioni positive, un mondo che segna il crollo di una globalizzazione senza regole, di una diffusa licenziosità dentro la quale anche le costituzioni più autorevoli si perdono via, abbandonando per strada diritti e doveri, leggi e autorità. Un mondo che vorrebbe cambiare insomma, ma che non riesce a liberarsi dai vincoli di vecchie appartenenze, dentro le quali l’egoismo la fa da padrone. Si tratta dunque di una democrazia da ripensare? Certamente anche dai momenti difficili possono nascere situazioni nuove, magari più adatte e capaci di rispondere in modo adeguato a un sistema che, proprio a causa del Covid 19, ha dimostrato tutti i suoi limiti, le sue incapacità, il suo non essere all’altezza dei compiti che si prospettano e che richiedono soluzioni tempestive e adeguate. Il sistema scuola, ad esempio, era già profondamente in crisi prima del virus, una crisi che partiva da una situazione di natura strutturale per poi evidenziarsi anche nella sue massime espressioni metodologiche. Anche il mondo del lavoro e quello industriale in particolare soffrivano di profonde frustrazioni e demotivazioni, la politica si avvitava su personalismi assurdi, il sistema migratorio sfuggiva di mano e le risposte sono sempre state insufficienti e in molti casi persino assurde. Il virus ha messo in evidenza tutti i limiti di una visione complessiva dei problemi italiani, non riuscendo a trovare convincenti convergenze sulle modalità e sui sistemi da adottare per risolverli. Il problema della giustizia e quello relativo alle scarcerazioni scriteriate hanno riattivato un diffuso sentimento di sfiducia e di paura un po’ in tutta la popolazione, soprattutto in quella che ha sempre creduto e che continua a credere che basterebbe poco per rimettere le cose a posto, magari adottando una maggiore decisione nell’affrontare e nel risolvere i problemi. È dentro questa pandemia di incertezze che si consuma la parte più nobile di una democrazia straordinariamente bella ed è proprio per questo che diventa assolutamente necessario ripartire sapendo esattamente quello che si deve e quello che non si deve fare. Il popolo ha una grande pazienza, ma è molto saggio non abusarne.
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