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Attualità

MISSIONE TRASPARENZA

SERGIO REDAELLI - 10/07/2020

interno-della-basilica-di-san-pietroC’è una grande novità nella missione trasparenza che papa Francesco persegue dentro le istituzioni vaticane: prima i panni sporchi si lavavano in famiglia, ora i problemi si affrontano alla luce del sole per evitare che si ripetano. Dopo l’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Segreteria di Stato, è finita sotto inchiesta nei giorni scorsi, perquisita e commissariata la Reverenda Fabbrica di San Pietro, l’antica istituzione fondata nel 1506 da papa Giulio II e oggi potente organismo che gestisce la basilica. Sotto la lente degli investigatori ci sarebbero la gestione poco trasparente degli appalti e presunte irregolarità nei lavori di restauro del Cupolone.

Le prestazioni sospette sono state rilevate dal Revisore vaticano. La magistratura ha acquisito atti, documenti e materiale informatico per mezzo della gendarmeria e il pontefice ha immediatamente nominato un commissario straordinario, il 78enne monsignor Mario Giordana, ex nunzio pontificio in Slovacchia, affidandogli l’incarico di riorganizzare gli uffici. La decisione di Bergoglio arriva poche settimane dopo la promulgazione del Motu proprio che impone gare pubbliche nell’aggiudicazione dei contratti. Il papa dunque non allenta il giro di vite sui meccanismi finanziari vaticani e intensifica l’opera di pulizia del virus del malaffare.

Sistematici i controlli. Il rapportodell’Aif, l’Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede, ha segnalato 64 attività sospette nel 2019 e 4 misure preventive, incluso il blocco di un conto corrente per 240 mila euro. L’Autorità ha trasmesso 15 rapporti all’ufficio del Promotore di Giustizia, il pm del papa. Per quanto riguarda il passaggio transfrontaliero di contante, sono state registrate 270 dichiarazioni in entrata e 851 in uscita, per un totale di 15.781.160,28 euro. L’analisi delle dichiarazioni non ha segnalato anomalie o indicatori di rischio. Due infine le ispezioni eseguite allo Ior, la banca vaticana, con particolare riguardo alla prevenzione del riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

Il Vaticano corre rischi del genere? “La Chiesa ha una dimensione universale con numerosi enti – spiega in un’intervista al Corriere della Sera Carmelo Barbagallo, ex capo della vigilanza di Bankitalia e da novembre a capo dell’Aif – Può succedere che alcuni di essi siano inconsapevolmente minacciati da tentativi di riciclaggio. Quello che conta è avere gli anticorpi per individuare e respingere gli attacchi. Il nuovo codice degli appalti testimonia la volontà di operare con trasparenza. Anche lo Ior ha fatto grandi progressi e i 38 milioni di utile registrati nel 2019 sono un messaggio incoraggiante”.

In segno di discontinuità con il passato l’Aif rinnoverà presto il proprio statuto, il regolamento interno e il nome. Si chiamerà Asif, con una “esse” in più a testimoniare che l’attività dell’ente non è solo di intelligence ma anche di Supervisione. Sotto la gestione di Barbagallo la Santa Sede ha di recente riallacciato i rapporti con il gruppo Egmont, il network di oltre 160 agenzie nazionali di intelligence finanziaria. Egmont aveva interrotto le relazioni con il Vaticano per il timore che le perquisizioni all’Aif, nel quadro dell’indagine sul palazzo londinese, rivelassero ai gendarmi informazioni riservate di altri Paesi membri del gruppo.

I rapporti sono ripresi dopo la firma di un protocollo, promosso da Barbagallo, in base al quale “l’eventuale sequestro di documentazione riservata avverrà con modalità coerenti con gli standard di sicurezza delle informazioni di intelligence stabiliti dal circuito Egmont”. Ora già incalza un nuovo delicato appuntamento. Il prossimo 29 settembre tornerà in Vaticano per una visita di due settimane il team dei valutatori di Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa che monitora il contrasto al riciclaggio di denaro sporco e al finanziamento del terrorismo. “È cruciale – dice Barbagallo – far emergere i progressi compiuti nel sistema dei controlli”.

La Reverenda Fabrica Sancti Petri (questo il nome originale) sovrintende, in accordo con il Capitolo della basilica, alle opere edili e artistiche riguardanti la chiesa più grande e famosa del mondo. Si occupa tra l’altro degli undici milioni di pellegrini annui e dell’Archivio che custodisce storici progetti, contratti e corrispondenze, come quella fra Michelangelo e la Curia.Nacque con il papa ligure Giulio II Della Rovere all’alba del ‘500 nel mezzo delle polemiche per l’abbattimento dell’antica basilica di Costantino, che era stata per dodici secoli il cuore della cristianità. E del conflitto tra Bramante e Giuliano da Sangallo sulla forma da dare a quella nuova.

Croce greca a pianta centrale o latina? Bramante non riuscì a convincere papa Giulio della validità della prima ipotesi, che prevedeva di spostare addirittura la tomba dell’apostolo Pietro. Ma si guadagnò la fama di “maestro ruinante” per l’impeto inesorabile con cui demolì l’antica parte presbiteriale della basilica, riducendo in frantumi le colonne costantiniane “mentre che rovesciandole più adagio si sarebbero potute conservare”. Fece a pezzi le tombe degli antichi papi e perfino il monumento del fondatore del mecenatismo pontificio, Niccolò V. Tanto che già i contemporanei lo accusarono di vandalismo e di avere tolto venerandi ricordi alla cristianità.

“Ciò si spiega in parte – scrive lo storico dei papi Ludwig Von Pastor – con la stima esagerata che avevasi della nuova architettura del rinascimento, i cui fautori guardavano con occhio di disprezzo tutti i monumenti del passato… i denari passavano tutti per le mani del Bramante che stringeva pure in nome del papa i contratti con gli assuntori dei lavori. È curioso come non sia ancora venuto in luce alcun assegno di pagamento per l’opera prestata dall’architetto urbinate nella nuova fabbrica, sebbene egli fosse il vero direttore dei lavori. Egli valevasi a preferenza di architetti toscani e spingeva avanti i lavori con la massima alacrità”.

Dal canto suo Giulio II cercava senza posa di procacciare i denari necessari per sopperire alle spese della fabbrica, elargendo grazie spirituali a coloro che davano il loro obolo. Il 12 febbraio 1507 emanò la prima bolla d’indulgenza a favore di chi mandava a Roma denaro per la basilica di San Pietro anche senza comparire di persona, in pellegrinaggio, nella città eterna. Una pratica carica di conseguenze. Alcuni anni più tardi, sotto Leone X, lo smercio delle indulgenze provocò la scandalizzata reazione del monaco tedesco Martin Lutero e diede origine alla sollevazione che portò alla riforma protestante.

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