Il 26 giugno del 1967 moriva a Firenze Don Milani. Prete ed educatore che ha scavato un solco nella storia della scuola italiana e in molte coscienze. Contestò la pedagogia dell’epoca, proponendo e testimoniando una pedagogia alternativa e innovativa. Messaggio provocatoriamente attuale se pensiamo che la riflessione sull’educazione, connubio di arte e di scienza, è -oggi più che mai- una esigenza. E non è un caso che qualcuno si sta accorgendo che in questi mesi drammatici per tutti e di grande confusione e contraddizioni per il mondo scolastico è stata assente la parola pedagogia.
Lo ha detto con coraggiosa chiarezza Don Ciotti, presentando all’edizione estiva e on line del salone del Libro di Torino L’amore non basta, racconto della sua storia di prete scomodo ma sempre attento al Vangelo e alla Costituzione. Lo ha scritto con lucidità Daniele Novara, firmandosi pedagogista, in un articolo di commento alle linee guida del ministero circa la riapertura delle scuole a settembre, pubblicato su Avvenire.
Il titolo Scuola, non ospedale sintetizza quello che dovrebbe essere una verità lapalissiana e nel testo si ricorda come nel Comitato tecnico scientifico non sia presente nessun pedagogista. Si potrebbe dire che non è di per sé un male, perchè – come talvolta la storia insegna- la politica non deve interessarsi di pedagogia ma permettere la realizzazione del fondamentale ed essenziale principio costituzionale, che la scuola è aperta a tutti. Ben sappiamo che, quanto sembra scontato, necessita, invece, di continua e non scontata riflessione. La scuola è anche spazio organizzato per l’apprendimento.
È stato, quindi, inevitabile che il Ministero nelle sue linee guida, pubblicate dopo una lunga attesa e dopo difficili confronti con le Regioni, abbia indicato come organizzare le aule, gli spazi a scuola per quello che tutti si auspicano un post pandemia. Ci si chiede allora perchè ancora tante contestazioni nei confronti della giovane ministra? I latini avrebbero detto saggiamente absit iniuria verbis e proprio con questo spirito, cioè tenendo ben lontana ogni ostile offesa, qualche considerazione è d’obbligo. Come ideali allievi di Don Milani che proponeva per le sue lezioni a Barbiana non solo la lettura dei quotidiani ma anche, insieme con la Costituzione, di passaggi degli atti parlamentari, dovremmo da cittadini leggere le indicazioni del ministero, superando la facile ironia provocata da espressioni burocraticamente creative, come definire la giusta distanza tra gli alunni, rime buccali. E porci tante domande.
Pensare che, parafrasando Manzoni, la scuola va dalle Alpi alle nostrane Piramidi, o meglio dal super moderno e attrezzato liceo a scuolette sperdute. Ricordarci che la scuola è stare seduti in classe ma entrare a scuola: qualcuno ha visto l’assembramento degli studenti in attesa di varcare i cancelli scolastici o i mezzi di trasporto stracolmi di studenti, al limite della sicurezza, negli orari di entrata e uscita da scuola? Basterà differenziare gli orari? Forse sì forse no. Enormi problemi organizzativi attendono le scuole.
E come ben si sa l’organizzazione non è mai neutra, anzi ha dentro di sé una visione, una idea. Ci sarà davvero una idea nuova di scuola? Questo è un auspicio, anche se sorprendono affermazioni che hanno il sapore della scoperta dell’acqua calda. Non vogliamo classi pollaio, ha detto Giuseppe Conte. A settembre le scuole saranno innanzitutto pulite, ha ribadito la giovane ministra. Non sono affermazioni propositive ma ammissione di tanti mali che da anni affliggono la scuola. E in tutto questo che centra la pedagogia?
Giannelli su Il Corriere della Sera con una vignetta ha sarcasticamente illustrato uno dei tanti problemi della scuola post piano per la ripresa: didattica a distanza o distanza dalla didattica, ha scritto. Senza perderci in necessari distinguo tra didattica e pedagogia, il vignettista ha colto un problema. Se non sono da sottovalutare i nuovi investimenti per la scuola, è, comunque, innegabile che manchi una visione che vada oltre l’emergenza. Insomma una certa lontananza dalla realtà. Al fine di prevenire la giustissima obiezione che non si possono risolvere problemi antichi della scuola in due mesi, e per lo più in una situazione grave, imprevista e ancora incerta, da far tremare a chiunque le vene e i polsi, comunque non farebbe male ricordare una regola d’oro della pedagogia.
L’educazione va pensata – come dicono i veri pedagogisti – prima ancora di essere attuata, prendendosi cura di chi apprende affinchè sia attrezzato a vivere criticamente e a non subire la realtà. Affermazione che pecca di idealismo o rappresenta un concreto bisogno civile? Chissà se la ministra, auspicando una scuola nuova fatta non solo in aula, inclusiva, si è ricordata che queste idee erano tutte presenti nelle parole e nelle azioni di Don Milani? Peccato che negli anni la scuola ha subito riforme e riordini che hanno, nonostante alcune buone dichiarazioni di principio ma condizionate troppo spesso non da sana pedagogia ma da esigenze di risparmi economici, tradito quei valori. Valori drammaticamente attuali. Constatazione amara e polemica o presa d’atto? Ma si sa che la scuola, nonostante tutto (o meglio nonostante i vari ministri) continua a credere nel futuro. O meglio, pedagicamente l’educazione è proiezione nel futuro.
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