Chissà se la scarsa attenzione al mondo ai bambini e ai ragazzi è da ritenersi un danno collaterale del Covid -19 o il prodotto della nostra storica insipienza nei confronti dei problemi dell’educazione.
Si prova un brivido di paura leggendo i dati mondiali relativi ai bambini che hanno vissuto o stanno vivendo ancora in questo momento gli effetti nefasti della pandemia.
Nel mondo 1 miliardo e 650 milioni di bambini e di ragazzi hanno dovuto interrompere le normali attività scolastiche per l’emergenza Covid-19.
In Italia 9,8 milioni, più del 16% della popolazione.
A parziale giustificazione della nostra scarsa sensibilità cito la virologa Ilaria Capua che parlando della pandemia del coronavirus l’ha definita un evento che può essere incluso tra quelli denominati “cigni neri”: avvenimenti epocali che portano con sé conseguenze imprevedibili.
Siamo adulti che sono stati colti impreparati dallo tsunami che ha stravolto il nostro quotidiano.
Però resta l’impietosa riflessione sui nostri comportamenti: ancora una volta ci siamo occupati molto di noi e solo marginalmente delle generazioni in crescita.
Abbiamo messo in luce la supponenza caratteristica di chi si muove nel presente come se le cose dovessero finire con lui.
Diverse volte in questi mesi si sono udite le voci di uno sparuto drappello di sociologi, psicologi e scrittori che ci avvertivano della quantità insopportabile di sofferenza patita dalle giovani generazioni a causa del blocco della vita sociale. Persone più attente della media dei politici, pochi giorni fa hanno preso carta e penna per scrivere al Presidente del Consiglio Conte.
“Nel nome dei ragazzi” è il nome del documento firmato da una rete di nove associazioni, tutte impegnate in realtà del terzo settore, dell’associazionismo professionale, civile e sociale.
Bambini e ragazzi, non a caso giuridicamente definiti “minori”, che non hanno voce propria, hanno ora trovato qualcuno che parli per loro.
I firmatari chiedono un cambio di passo nei confronti delle giovani generazioni in questa fase di ricostruzione del tessuto socio economico.
Che si dedichi loro una speciale attenzione perché ci possa essere una vera ripartenza.
Che si metta al centro dell’agenda politica un vero investimento su coloro che incarnano sia il presente sia il futuro del nostro paese.
Che si riparta dall’educazione e dai diritti di bambini e ragazzi.
Che si consideri il doppio danno subito: danno economico e danno educativo, in un paese già segnato da allarmanti contraddizioni e da gravi diseguaglianze.
Sottolineano che l’epidemia ha pesantemente acuito la povertà materiale di molte famiglie: a pagarne le spese sono i minori di cui si era già scritto e parlato in occasione degli annuali rapporti dell’Istat, dell’Unicef, di Save the Children, per citare i più qualificati.
I minori ora sono più poveri, più emarginati, più in affanno di prima.
Non si può non condividere le preoccupazioni dei firmatari.
Non si può non restare colpiti dalla povertà degli interventi in tema di scuola, dalla limitatezza del linguaggio con cui qualcuno chiede conto del futuro scolastico delle giovani generazioni.
Non si può accettare che parlando dei complessi problemi del mondo dell’educazione la discussione si avviti sulla quantità di “s” contenute nella parte finale della parola “plexiglass”.
Risponderà la politica alle sollecitazioni del documento? Fornirà risposte “centrate”?
Anche azioni concrete sono gradite: come la garanzia che non si bloccherà mai più l’attività didattica per fare spazio ai seggi elettorali, perché la scuola sta al centro del futuro di figli e nipoti e neppure un’ora di lezione dovrà più andare persa.
Nel nome dei ragazzi.
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