-Caro Mauro, quella volta che…
“Caro Massimo, quella volta che iniziai i miei viaggi nell’équipe dell’Azienda autonoma di soggiorno di Varese, fine anni Sessanta”.
-Èquipe composta da chi, oltre a te ch’eri il direttore?
“Dal presidente Luigi Zanzi e dai vice Aldo Lozito e Ambrogio Tenconi. Varesini di gran pregio: notaio il primo, avvocato il secondo, medico il terzo”.
-Meta. Anzi, mete?
“La prima fu Palermo, sede di convegno delle Aas di tutt’Italia. E là ci rendemmo conto di quale fosse la considerazione verso i loro affiliati. Per dire: a Varese nessuno badava al fatto che tizio o caio fosse al vertice d’un tale ente turistico, a Palermo ne avevano un’idea da grandeur. Erano autorità, eccellenze, persone di rango”.
-Idem accadde altrove?
“Idem sì. Successe per esempio ad Alghero, a Sanremo, eccetera. Zanzi, Lozito e Tenconi corrispondevano comunque al profilo di straordinarietà attribuitogli a prescindere dagli ospitanti. Stavano nettamente al di sopra della media. Non soltanto nella loro professione”.
-Un episodio chiarificatore…
“Nella trasferta siciliana ci portarono in visita al duomo di Monreale. Lozito, che sapeva tutto d’arte, fece da formidabile guida. Zanzi si divertiva a punzecchiarlo, peraltro ricambiato: guarda come si atteggia, mi diceva, sembra un cardinale”.
-Beh, ieratico lo era, l’optimus Lozito…
“Così come Zanzi era incline all’understatement. Eccelsa humilitas. Tenconi stava bene nel gruppetto. Da partner e non da gregario, si capisce. Tanto che, quando Zanzi mancò, ne tenne ad interim il ruolo fino a che non venne eletto il nuovo presidente”.
-Stiamo sempre sul tema viaggi?
“Ma sì, viaggiamo”.
-In politica?
“In politica. Con destinazione Roma, in numerose circostanze, per riunioni del Partito liberale”.
-Spesso con Piero Chiara…
“Certo che sì. Assemblee nazionali, consigli, direzioni. All’inizio, un parterre di bellissima gente”.
-Tipo?
“Era l’epoca di Malagodi segretario, circolavano personalità come Edgardo Sogno, Emilio Pucci, Manlio Brosio. Venne poi il periodo di Agostino Bignardi e Valerio Zanone. Ma non era più il Pli in flanella del tempo precedente”.
-In flanella, cioè?
“Con uno stile d’antan. Cultura, classe, aplomb: la nobiltà ereditata dall’Ottocento e ben conservata nella prima metà del Novecento. Poi tutto crollò, quando ci fu la pensata di traslocare a sinistra un tesoro intellettuale di destra. La destra storica, intendiamoci, nata nel cimento risorgimentale e consolidatasi nei decenni post-unitari”.
-Tra un incontro politico e l’altro, dove la siesta?
“Di frequente in un locale chiamato L’eau Vive, prediletto da Chiara. Aveva una caratteristica: il personale era composto da suore di colore, agghindate con vesti non tradizionali”.
-Cambiamo motivo e destinazione del viaggio: dove quelli personali?
“In pochi luoghi. Pochissimi. Non m’è mai piaciuto viaggiare. Lo trovo inutile. Vai in un posto e sai già tutto prima d’arrivarci. Che senso ha? Peggio: rischi la delusione. Un caso: scegli Parigi per vedere la Gioconda, te la trovi davanti e ti meravigli che sia un quadretto anziché un quadrone. Meglio evitare d’autodeludersi”.
-E quindi?
“E quindi poco girovagare. Nel mio caso con una curiosità: di solito, sempre in città che cominciano con la lettera b”.
-Tipo?
“Tipo Belgrado, dove mi recai qualche volta perché mia sorella Annamaria lavorava all’ambasciata italiana. O Barcellona, che fu stazione di passaggio durante il viaggio di nozze a Ibiza. O Berlino, che visitai al compimento dei 70 anni, quando un amico mi regalò il biglietto del concerto di Rod Stewart, cantante-mito. Un inciso: a Ibiza, dopo il primo approdo nel ’69, tornai nel ’77 e lì nacque il mio collegamento con Woody Allen”.
-Collegamento di che tipo?
“Telefonico. Indirettamente telefonico. Spiego. C’era un caffè chiamato ‘The best cup of tea in the world’, e lì ci si radunava la sera in attesa d’eventuali chiamate, essendovi l’unico apparecchio della zona. Capita un giorno che il tizio a me vicino viene invitato a impugnare la cornetta. Scopro dalla voce del gestore che si chiama Denholm Elliott. Scopro poi che a mettersi in contatto con lui è stato Woody Allen. Scopro infine che voleva comprenderne l’accento newyorchese perché gli serviva una certa tonalità per il protagonista d’un suo film. Denholm si produsse in gorgheggi vari, senza risultato felice. Ma Allen si ricordò di lui in futuro: l’avrebbe messo nel cast di ‘Settembre’. Mica paglia”.
-Torniamo alla lettera b. Un’ultima battuta di toponomastica?
“La dedico a Bari. Non la conosco, però mi è nel cuore. Motivo: nel celebre film ‘I ponti di Madison County’ il protagonista Robert, interpretato da quel genio di Clint Eastwood, incontra la co-protagonista Francesca, ovvero Meryl Streep, che gli dice d’essere originaria di Bari. Tanto bastò, ormai molto tempo fa, per avere di Bari un sontuoso concetto. Che resta intatto”.
-A chiudere. Il prossimo, eventuale approdo secondo la regola dalla b?
“Senz’altro Buenos Aires”.
-Ma non in pampa magna…
“Assolutamente. Nessun gridìo argentino, salvo che interiore”.
-A proposito di gridìo. Per quale città, b o non b, una voce d’acuta ammirazione?”
“Trieste. La più bella”
-Bella come b…
“E come bye. Alla prossima”.
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