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Attualità

DOPO LA QUARESIMA

LIVIO GHIRINGHELLI - 13/04/2012

I tempi di Quaresima si avvicinano alla Pasqua di resurrezione, ma la crisi attanaglia la nostra società con l’angoscia di una possibilità di lavoro sempre meno aperta ai giovani e alle donne, la precarietà di un’occupazione che dipende da mille fattori condizionanti, minacciata dalla delocalizzazione, dalla difficoltà perdurante a fare rete tra le imprese, mentre la finanziarizzazione speculativa dell’economia sottrae ossigeno e risorse vitali alla produzione di beni. Il libero mercato non può prescindere dai fini che persegue e dai valori che trasmette a livello sociale, mentre dovrebbe rivelarsi come uno strumento insostituibile di regolazione all’interno del sistema economico. Bisognerebbe ancorarlo a finalità morali, che assicurino e circoscrivano adeguatamente lo spazio della sua autonomia. Ma all’orizzonte non si vede chi possa stabilire un quadro giuridico veramente adatto a regolare i rapporti economici e soprattutto a metterlo in pratica, verificandone l’attuazione in modo costante. C’è il rischio di una vera e propria idolatria del mercato ovviamente a fini di parte secondo una deprecabile logica hobbesiana.

La globalizzazione potrebbe, se rettamente intesa, ridistribuire ricchezza fra le diverse parti del pianeta nella difesa dei diritti umani e salvando specificità locali e diversità culturali da non travolgere e salvando la solidarietà fra le generazioni; dovrebbe salvarci dalle complicazioni rovinose di un’economia finanziaria fine a se stessa, con tradimento del ruolo originario ed essenziale di servizio che le compete. Purtroppo si assiste alla graduale perdita di efficacia dello Stato nazione nella guida delle dinamiche economico-finanziarie. Le decisioni di fondo si prendono a livello sovrannazionale, intercontinentale. È difficile anche accertare il quadro preciso e dettagliato delle responsabilità. Chi regola i processi?

Pur in una necessaria dimensione operativa mondiale della politica non si riescono a evitare sacche di privilegio, estensioni ad oltranza della pura logica mercantile, con interpretazioni di tipo meccanicistico e deterministico dei movimenti in atto. Lontana, utopistica è l’idea di uno sviluppo solidale, che abbia come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. Ecco invece una mobilità lavorativa e una flessibilità iperpervasiva, riduzione delle reti di sicurezza sociale, la frammentazione fisica del ciclo produttivo, l’alterazione delle tradizionali coordinate spazio-temporali, la dislocazione degli impianti in aree diverse da quelle in cui si assumono le decisioni strategiche e lontane dai mercati di consumo, con estremizzazione della logica del profitto.

La visione della Chiesa con la sua dottrina sociale insiste invece sul principio che la ricchezza esiste per essere condivisa, che non può esaurirsi nel consumismo dell’avere rispetto all’essere, che l’economia debba avere sempre e comunque una connotazione morale, che ci si debba aprire progressivamente nel contesto mondiale a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione (Caritas in Veritate 40) secondo un orientamento culturale personalista e comunitario. La globalizzazione dovrebbe comunque essere intesa in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione (par. 42). La cooperazione allo sviluppo poi non deve riguardare la sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione d’incontro culturale e umano (par. 59). Quanto varrebbe infine anche in termini pratici e immediati la proposta della microfinanza.

È un discorso aperto e rivolto non solo ai fedeli, ma anche ai non credenti, a tutti gli uomini di buona volontà, rimanendo sempre la distinzione tra il delineare i problemi in chiave morale, universale, ch’è ufficio proprio della Chiesa e lo studiare e attuare soluzioni pratiche soprattutto di carattere politico e tecnologico, che è competenza propria del laicato nella sua autonomia.

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