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Editoriale

PALLA

MASSIMO LODI - 18/06/2020

pallaNon è indispensabile essere di destra, votare per Salvini o Meloni o Berlusconi, per riconoscere il sinistro in cui è incappato il governo Conte. Sinistro nel senso d’accidente. Accidente ovvero gli Stati generali sul futuro del Paese. Futuro del Paese che basta affrontare con poche e risolutive idee, con qualificati uomini/donne, con la forza di scontentare qualcuno anziché con la debolezza di voler contentare molti. Elargendo un po’ a tutti, salvo dimenticarsi qualcuno: questa la prospettiva d’oggi, evidente a qualunque occhio distanziato dalla partigianeria. Tant’è che la medesima critica viene dal presidente degl’industriali Bonomi e dal segretario della Cgil Landini.

Conte ha fatto il meglio possibile durante l’emergenza pandemica, al netto d’errori che solo l’onestà intellettuale del ministro della Salute Speranza ha riconosciuto. Ma sta facendo male, e di male in peggio, nel post-emergenza. Il mega-convegno di Villa Pamphilj, facilmente prestatosi all’accusa di passerella, ne rappresenta la prova. Non c’era bisogno d’interloquire con mezzo mondo per comprendere che cosa fare, dopo aver  nominato, messo al lavoro e ricevutone le conclusioni la task-force guidata da Vittorio Colao. Uno che sa fare il manager. Andare al concreto. Fornire idee e mezzi per realizzarle.

Disinteressato alle declamazioni propagandistiche, ha spiegato in un bigino operativo lo schema per risollevare l’Italia. Un déja vu, certo. Tuttavia pronto all’uso. Roba pragmatica, non princìpi vaghi: le priorità, il modo per rispondervi, le competenze da promuovere, i parassiti da bocciare, la regia unica da imporre. Quindi: investire a ragion veduta e non a pioggia/capocchia, scordarsi il clientelismo, far pagare le tasse alla moltitudine degli evasori cialtroni, mettere risorse ingenti per ricerca e sanità, eccetera. Una salmeria sufficiente ad armarsi e partire, altro che il melmoso surplace degli Stati generali.

Perché allora l’ineffabile coda? Perché dando retta a Colao e al team adoperatosi con lui, si andrebbero a minare serbatoi di voti giudicati di sacra inviolabilità. Allora meglio attendere, traccheggiare, spingere in là il momento delle improbabili decisioni. Di questa tattica Conte è il massimo responsabile, e non si capisce se v’indulga per fare un piacere ai Cinquestelle squassati al loro interno, cui deve il doppio mandato presidenziale; o a sé stesso, cui a breve potrebbe regalare la leadership dell’M5S medesimo o d’un suo personale partito, posizionabile in bell’evidenza nella vetrina del nuovo centrosinistra elettorale.

Comunque sia, una scelta che rallenta la guarigione del Paese dopo averlo curato nell’infuriare del morbo. Il problema, come sostiene la destra, non è l’autoritarismo di coloritura peronista da parte di Conte. Il problema, come dovrebbe sostenere la sinistra, è l’impraticabilità di logiche veterodemocristiane in quest’Italia terremotata dal virus. Ora che pure il calcio ha ripreso, bisogna tirare in porta smettendola di fare melina, invece di fare melina senza mai tirare in porta. Se Conte non può o non sa giocare così, lo si cambia. D’allenatori capaci in giro ce ne sono. Idem di buoni elementi da pescare sul mercato e mettere in squadra. Ma urge andare in campo subito e correre dietro la palla, anziché nasconderla.

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