Ho conosciuto Walter Tobagi, di cui ricordiamo in questi giorni i 40 anni dal suo assassinio ad opera dei brigatisti della XXVIII Marzo, durante un seminario di storia moderna e contemporanea alla Statale di Milano. Tobagi nel 1973 alternava il lavoro pomeridiano al Corriere della Sera (prima era stato assunto ad Avvenire) con l’attività di ricercatore presso la cattedra di Giorgio Rumi (storia contemporanea) e di Brunello Vigezzi (storia moderna).
Anni difficili per chi alla Statale non era rosso. La presenza di Comunione e Liberazione era vista con sospetto se non ostilità. I nostri tatzebao duravano pochi minuti prima di essere strappati, la presenza pubblica cattolica di fatto vietata. Io stesso subii un processo popolare all’inizio di una lezione, reo di aver distribuito alcuni volantini agli studenti in cui offrivamo libri e dispense a prezzi agevolati! Venni espulso dall’aula e ‘invitato’ da alcuni compagni a suon di sputi, spinte e calci ad uscire dall’Università.
In quel clima le cattedre di Rumi (diventato poi anche membro del Cda della Rai) e Vigezzi erano oasi di convivenza e dialogo. Lì, durante un seminario dedicato a ‘leghe bianche e leghe rosse nel dopoguerra’, incontrai appunto Tobagi.
Colpiva di lui la pacatezza unita alla curiosità intellettuale. Relativamente giovane, aveva 27 anni, spiccava già tra studenti e docenti per l’acutezza delle osservazioni e il metodo della ricerca. Mai polemico, voleva soprattutto capire le posizioni dell’altro. Una capacità di lettura che partiva magari da un dettaglio o una frase per diventare una domanda sui destini del Paese dove in quegli anni tutti avevano risposte ideologiche preconfezionate. Di lui ha scritto Leonardo Valente, il direttore di Avvenire che lo assunse: “Preparava gli articoli con la stessa diligenza con cui avrebbe tradotto una versione di greco o fatto una ricerca storica. Una montagna di appunti, decine di telefonate di verifica, consultazione di norme e leggi. Svolgeva una mole impressionante di lavoro per un pezzo magari di due cartelle”.
Fu proprio la sua innata curiosità, unita al rigore scientifico, il terreno che permise il nascere di un dialogo con quel gruppetto di strani cattolici che in Università rischiavano anche la propria integrità fisica in nome della libertà. Ne nacque un articolo, pubblicato dal Corriere d’Informazione il 31 Marzo 1973, dal titolo ‘Si, rovesciamo tutto ma in nome di Cristo’ scriveva tra l’altro Tobagi: “Uno scantinato grande come il cinema Ariosto. Tavoli, scansie, un salone per gli incontri e la preghiera, mucchi di manifestini. È la centrale di CL, il gruppo che ha stupito Milano con migliaia di manifesti bianchi e rossi attaccati in tutte le strade, dal centro alla periferia: nell’Università per la liberazione”. Proseguiva poi l’articolo: “Un discorso libertario ma fondato su una convinzione prima di tutto cristiana. Non più sull’individuo ma sulla comunità nella quale e attraverso la quale gli individui possono cambiare la società”.
Un articolo corretto che, senza sposarne le tesi, presentava Cl per quello che allora era. Talmente corretto che la direzione decise di pubblicare in seguito sul Corriere altri articoli, di altre firme, dove il movimento tornava ad essere quello “pagato dalla Cia”, “longa manus della Dc”, “integralista” eccetera eccetera.
Come è noto la sua condanna a morte fu un editoriale, pubblicato il 20 Aprile 1980: “Non sono samurai invincibili”. Un articolo coraggioso sulle Brigate Rosse ma anche sull’ambiguo rapporto che una parte della sinistra, del sindacato e perché no, anche del giornalismo, teneva con la lotta armata.
Lo ha ricordato in sede processuale Marco Barbone uno dei due killer, che insieme a Mario Marano, eseguì l’omicidio: “Tobagi era un giornalista che a noi appariva destinato ad avere sempre
maggiori incarichi di responsabilità. Era stato scelto come obiettivo nei confronti del quale la logica e la prassi della lotta armata imponeva l’annientamento”. Logica delirante che si concluse con cinque colpi di pistola ad una persona inerme, colpevole solo di fare bene il proprio lavoro in redazione e nel sindacato giornalisti. Tobagi lasciò la moglie Stella e due bimbi ancora piccoli: Benedetta poi divenuta scrittrice giornalista (dal 2012 al 2015 nel Cda Rai) e Luca. Proprio le parole di quest’ultimo ci lasciano una prospettiva per l’oggi: “Tutte le persone che lo vogliono ricordare potrebbero fargli il regalo di domandarsi che cosa possono fare, una per una, per creare un contesto quotidiano di rispetto, per evitare che certe situazioni che hanno contribuito a creare le condizioni della morte di mio padre, possano ripetersi”.
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