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L'antennato

BAUDESIMO

STER - 12/06/2020

baudoPippo Baudo …e sono 84! E non parliamo di programmi condotti – quelli sono molti di più – ma di anni vissuti, di cui 61 sul palcoscenico. Quella di Baudo è una sorta di biografia della storia repubblicana: l’emigrante con il pezzo di carta in tasca che parte dalla Sicilia e riesce a sbarcare nella RAI degli anni d’oro, passando dai fichi d’india alle Kessler senza colpo ferire, attraversando incolume il più classico dei malintesi all’italiana, ovvero il provino da esordiente in cui viene bollato come “adatto a programmi minori” (così venne protervamente classificato da un invece dimenticatissimo “funzionario” Rai), laddove il talento non solo non è riconosciuto, nemmeno intuito ma anzi osteggiato da chi invece dovrebbe fiutarne per mestiere.

La Rai lo ha celebrato sabato 6 giugno riproponendo il grande show celebrativo che gli venne tributato l’anno scorso, (raccogliendo un 13% di share, cinque punti in meno di una vecchia puntata di Bonolis e il suo show sugli errori/orrori dell’evoluzione umana), non essendo in grado – evidentemente – di escogitare niente di meglio. Ma neanche di peggio, vien da dire, specie in tempo di distanziamento sociale.

La storia del Pippo Nazionale intreccia la vita di tutti gli italiani nati almeno fino al 2000: manca dal video in maniera continuativa solo da pochi anni, ma in precedenza, dalla metà degli anni ’60 in poi, non ha dato tregua al pubblico, accreditandosi subito come fine conoscitore di musica leggera (la sua “Settevoci” è una delle prime e migliori trasmissioni dedicate alle “canzonette”, in quell’Italia post-boom che oggi si ricorda proprio in forza di quei motivi), cavalcando più – e meglio – di chiunque altro l’idra sanremese, dai tempi di Satchmo (anno di grazia ’68, lui scelto perché ci voleva una conduzione “giovane e ritmata” dopo il dramma di Tenco, ma l’anno dopo mamma Rai ripiegò rapidamente sul ben più sussiegoso Nuccio Costa) passando per i ruggenti anni ’80 della musica facile rigorosamente sul ‘giro di do’, per arrivare agli anni ’90, quando riuscì a condurre il festival per ben cinque anni di fila, arrivando alla codificazione perfetta del genere (valletta bionda e valletta mora, stacchetto del maestro Caruso, cinque serate e categoria giovani) prima di lasciare la mano a due altri ‘pericolosi sovversivi’ del genere: Mike Bongiorno e Raimondo Vianello.

Facile sarebbe richiamare le sue belle esperienze a Canzonissima e agli altri show legati alla Lotteria Italia negli anni ’70 (chi si ricorda “Un colpo di Fortuna”, “Chi?” oppure “Secondo voi”?), scontato richiamare la sua epopea degli anni ’80, tra Domenica In, Serata d’Onore e Fantastico, culminata con lo scontro in diretta con il presidente RAI Enrico Manca, che lo aveva definito “nazional-popolare”, coniando una definizione che all’epoca Baudo respinse al mittente (“vorrà dire che d’ora in poi farò programmi regionali e impopolari”, gli rispose piccato in diretta tv). Salutò tutti e se ne andò alla Fininvest, per ritornare sulla TV pubblica qualche anno dopo, esperienza che curiosamente ripeté a paro a paro alla fine dei ’90, secondo il collaudato schema: uscita polemica dalla RAI, ingresso trionfale a Mediaset – uscita in sordina da Mediaset – rientro umile in RAI – ritorno al successo.

Nessuno come Baudo – non il più accorto Bongiorno, non il più tormentato Tortora, non il più prudente Corrado, per tacere di tutte le schiere succedanee di ieri e di oggi – ha impersonato la “hybris” in salsa televisiva: periodi di successo sfarzoso, di onnipresenza catodica e di popolarità che improvvisamente si rivoltavano contro il loro titolare: da incorniciare in questo senso il lustro dei primi anni ’90, in cui il conduttore catanese per la TV di Stato scrive e conduce format originali a ripetizione (Gran Premio, Numero Uno, Partita Doppia, Papaveri e Papere, Mille Lire al Mese, Luna Park, solo per dirne alcuni… avercene adesso di creativi così prolifici e di spazi produttivi così magnanimi!) allargandosi ipertroficamente e finendo per essere costretto ad allontanarsi dall’azienda per farle riprendere fiato (a lei e agli altri artisti in scuderia).

Cosa rimane della clamorosa epoca baudiana nella tv di oggi? Il panorama dei conduttori di intrattenimento del dopo-Pippo è composto da una generazione brillante ma nata, cresciuta e ormai maturata nell’eterna promessa mai mantenuta di raccogliere lo scettro di mostri sacri come lui: Bonolis, Scotti, Conti, Amadeus (il povero Frizzi fa da sé) sono popolarissimi, ma non quanto lui. Nemmeno la De Filippi avrà probabilmente sui libri la parte che sarà riservata al Pippo Nazionale, prigioniera com’è di un successo pervasivo, certo, ma legato a quattro-trasmissioni-quattro portate avanti ormai da vent’anni sempre uguali a loro stesse. E la generazione ancora successiva di presentatori veleggia per il momento ancora più distante dall’obiettivo, laddove il suo requisito quintessenziale sembra essere quello di parlare sempre ad alta voce e in inglese (“ho viaggiato, e c’ho ritmo”) e cercare di imitare eternamente il David Letterman Show, che – spogliato da ogni retaggio esterofiliaco – è ormai un format vecchio di cinquant’anni.

Bisogna dolersi di questo deserto ereditario? No, la tv non è più quella di quarant’anni fa, quella di “lunedi cinema-martedì show-giovedi quiz-sabato varietà” e spazio per gente come Baudo non ce n’è più; questo genere di personaggi sono come quei grandi armadi delle nonne, con l’imponente specchiera centrale e la cimasa intagliata: ci sono molto cari, ma le nostre case non sono più a loro misura, molto meglio uno scaffale assemblabile dal nome strano che quando ti stufi, lo puoi buttare senza troppi rimpianti.

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