È tutto un vortice, una spirale che stringe le infinite sfaccettature della nostra vita come se fossero foglie morte dai colori opposti. Ci sono sempre fatti tra loro contrastanti: infiniti episodi di generosità contro universali atti di egoismo. Vediamo tanti sciacallaggi economici e politici ai danni di esausti anziani, ma incontriamo lavoratori intellettuali e manuali disinteressati. C’è la ricerca del bene in tutti i modi, ma è tanta anche la violenza psicologica e la aggressione fisica. Si dona la vita, ma si somministra la morte. Fatti antichi proiettati in una luce nuova, diversa sul bigio schermo di questa patologia infettiva, esplosa in modo così veloce ed aggressivo da risvegliare paure e sofferenze ancestrali, sopite da tempo sotto la coltre di un benessere sostenuto dalla pubblicità, creatrice di nuovi miti fragili che hanno messo in ombra il corredo delle altre minacce patologiche sempre presenti nella nostra umanità.
L’attrito psicologico del timore stimola la comparsa di moti reazionari anche in persone che a parole sembrano dedite all’amore per tutti, dedite alla ricerca spirituale innata in noi, e questo pesa sulla società in parallelo ad altre parole che simulano difesa, ma che in realtà aggrediscono i semplici, amplificate come sono dalle tecnologie odierne. Si stimolano timori e paure che portano alla costruzione di ostacoli e muri, arrivando a negare la drammatica realtà: “il virus non c’è più!
Vediamo una umanità meschina in contrasto continuo con una umanità bella e generosa e il loro atteggiamento si ripercuote sulla società, da una parte consolando, dall’altra aumentando con forza le sofferenze che risultano differenziate a seconda delle realtà dove si svolge la vita: diverso il pianto e la povertà di una società del Nordamerica rispetto a quelle del Sudamerica o dei paesi dove governa uno solo. Altrettanto diverse le situazioni del continente Africano, del Medio Oriente, e dell’Oriente stesso. Diverse le sofferenze nelle affollate città rispetto alle sofferenze delle campagne dove l’evoluzione dell’economia è ferma a secoli di ritardo, dove puoi appoggiarti solo all’energia limitata delle tue braccia che strappano ancor oggi sudato cibo dalle zolle troppo aride.
Tutto questa realtà è difficilmente sintetizzabile in un unico quadro. Non c’è coefficiente matematico così potente da racchiudere il tutto. Cosa fare? Meditiamo e ci confrontiamo con le pesti antiche descritte da famosi autori del passato per cercare il suggerimento capace di risollevare la nostra nazione, la Lombardia o la nostra città?
Limitiamoci alla nostra Varese nella cui popolazione abbiamo gli atei e i credenti, gli umili che amano essere nascosti e nel contempo i narcisi, gli iperattivi ed i fannulloni, i manager, i capitani ed i gregari, quelli che guardano fuori dalla finestra ammirando lo spuntare delle nuove foglie, il sorgere del sole, il succedersi dei tramonti, al contrario di altri ripiegati tra le pareti casalinghe, affidati al dialogo con la TV o a lunghe chiacchierate telefoniche. Abbiamo chi ha letto tanto, chi ha usato mani laboriose, chi ha fatto molto, chi ha atteso e invocato “la manna dal cielo”. Vediamo cioè una popolazione variegata buttata davanti ad una realtà cruda dove la vita appare terminabile “a breve se il virus mi becca”. Una popolazione statisticamente senile piuttosto numerosa quasi quanto quella dei giovani, pieni di vita, pieni di impulsi creativi, vogliosi di fare ma bloccati lì dalle precauzioni igieniche, dalla mancanza di fondi, dall’eterna piaga della burocrazia e sotto sotto dalla malavita organizzata, negata tempo fa da un noto politico.
Ora sarà importante saper coltivare la memoria dei giorni appena tramontati intrisi di scelte drammatiche: chi avviare al respiratore, chi abbandonare ai gas soffocanti del covid. Non dimentichiamo questo, noi costruttori d’armi invece di ventilatori d’ossigeno, di mascherine, di filtri, nemici dell’igiene e della ricerca capace di svelare i misteri della natura, misteri di vita, di bellezza.
Gente varesina sempre attenta, gente varesina distratta e passiva, gente che ha cercato sempre prudente movimento, che ha inventato modi nuovi di lavorare, gente che si è spesa per gli altri, gente caduta nell’accidia. Gente dedita allo sciacallaggio politico, ideologico, economico, gente che ha dato tempo e attività agli altri. Gente bella, gente anonima, gente brutta. Gente che trova il positivo dovunque, gente che vede sempre, sempre nero dovunque.
Gente che sa vivere bene, gente “trista” che sperpera il positivo della vita. Gente che sa amare, gente che sa vedere solo il “no”! Gente che sa aiutare i numerosi poveri, causati da ditte chiuse, gente che non sa vedere il tanto donato. Gente che vede Varese sempre tutta bella, gente che la vede tutta brutta. Gente varesina che nel silenzio imposto ha saputo ascoltare parole di vita nuova pronunciate da un profeta che vive con fatica, che ha camminato sotto la pioggia verso un crocifisso, gente che prega per Lui col proprio lavoro, gente che urla per nascondere propri sbagli, gridando quelli degli altri. Varesini, come gli altri trascinati nel vortice attorno all’esile filo della vita, che un niente spezza, dando a chi ama tanto dolore ma anche la speranza che raccoglie i tanti volti di quelli che ci hanno lasciato.
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