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Politica

REGIONI/2 IL VOTO VARESINO

ROCCO CORDI' - 05/06/2020

I risultati del voto del 1970 in Lombardia

I risultati del voto del 1970 in Lombardia

Il 7 giugno 1970 gli elettori entrarono in cabina con tre schede. La novità, come già ricordato negli articoli precedenti, riguardava il voto per i Consigli delle Regioni ordinarie. Per la prima volta e contemporaneamente veniva così completato l’assetto istituzionale – Comuni, Province, Regioni – delineato, vent’anni prima, dai padri costituenti.

L’esito di quel voto sorprende innanzitutto per la partecipazione. Una affluenza straordinariamente elevata e molto distante dalle percentuali decrescenti a cui ci siamo abituati negli ultimi anni. Nelle 15 Regioni si recarono alle urne il 92,5% degli elettori, con la punta massima in Emilia e Toscana (votanti 96%) e la minima in Calabria (81,9%). In Lombardia l’affluenza media è pari al 95,5%, con in testa Mantova (97,4%) e in coda Bergamo (94,2%). Varese e provincia (95,9%).

Prendendo a riferimento i soli risultati regionali e confrontandoli con le politiche precedenti, svoltesi nel “68, emerge una sostanziale conferma degli equilibri politici nazionali.

Nello schieramento governativo (DC, PSI, PSDI, PRI) il partito maggiore, la DC, ottiene il 37,8% dei voti (-0,9%), mentre i suoi alleati PSI e PSDI che nel 68 uniti nel PSU avevano ottenuto il 14,8% ora, da separati, conquistano rispettivamente il 10,4% e il 7%. Avanza pure il PRI (dall’1,8% al 2,8%). Alla loro destra si ridimensiona il PLI (-1,2%) mentre i monarchici, PDIUM, si riducono allo 0,7% a tutto vantaggio del MSI (5,2%, + 0,9%).

A sinistra il PCI ottiene il 27,9% (-0,2%), il PSIUP 3,2% (-1,2%).

Anche se le variazioni in più o in meno appaiono irrilevanti, soprattutto agli occhi di chi oggi è abituato a mutamenti repentini e tumultuosi, in quell’epoca i cambiamenti elettorali erano lentissimi e a volte talmente limitati che bastava uno 0,2% in più o in meno per accendere vivaci discussioni.

Ma se la DC può “consolarsi” della sua perdita guardando al +2,4 ottenuto dai suoi alleati, non altrettanto è consentito al PCI. Nelle valutazioni del voto si parla di “posizioni rinsaldate”, ma è un eufemismo consolatorio che, nel dibattito interno, si traduce in “voto deludente”. In effetti di questo si tratta. Il voto non corrisponde affatto alle aspettative suscitate dai grandi movimenti sorti nel Paese e in particolare nelle Regioni a più alta densità operaia. Se in Emilia, Toscana e Umbria, le famose “regioni rosse”, il PCI svetta sopra il 40 % in Piemonte deve accontentarsi del 25,9% e in Lombardia del 23,1%, regioni dove la DC raccoglie rispettivamente il 36,7% e il 40,9%.

Alla elezione del primo Consiglio regionale della Lombardia partecipa dunque il 95,5% di votanti. Anche qui il rapporto PCI-DC è notevolmente differenziato: il PCI è primo partito solo a Pavia (35,2%) e Mantova (33,4%). In tutte le altre la DC supera il 50% (punta massima Bergamo 59,8%) ad eccezione di Cremona (45,1%) e Milano (34,1%).

In Regione Lombardia il voto ai partiti è il seguente: DC 40,9%, PCI 23,1%; PSI 12,4%; PSDI 7,2%; PLI 5,9%; MSI 3,7%; PSIUP 3,6%; PRI 2,4%; PDIUM 0,6%; altri 0,1%.

Gli 80 seggi, ripartiti in misura proporzionale, vengono così assegnati: DC 36, PCI 19, PSI 9, PSDI 5, PLI 4, MSI 3, PSIUP 2, PRI 2.

Il “quadripartito” in versione lombarda nasce con una maggioranza consiliare del 65%.

In Provincia di Varese il voto non si discosta molto dalla media regionale: DC 42,6%, PCI 21,2%, PSI 13%, PSDI 7,9%, PLI 5,1%, PSIUP 4%, MSI 3,9%, PRI 2,5%. Qui il PCI avanza dello 0,8% perciò,considerato quanto scritto sopra, non deve sorprendere se nella prima pagina del suo giornalino campeggia il titolo “Brillante avanzata comunista”.

I 6 seggi spettanti sono così suddivisi : DC 3 (Adalberto Cangi, Giannino Turri, Giuseppe Premoli); PCI 1 (Giancarlo Aloardi); PSI 1 (Sergio Marvelli), PRI 1 (Guido Mosterts). Quest’ultimo, proprietario del Lanificio di Somma, eletto con il “recupero del resto più alto a livello ragionale”. Cangi, Aloardi e Mavelli erano “uomini di partito”, esponenti di primo piano, mentre Turri e Premoli vantavano ruoli dirigenti in organismi di massa “collaterali” alla DC come Associazione artigiani e Confcooperative.

Per comprendere pienamente quei “numeri” bisogna rivolgere lo sguardo all’Italia di allora. Il boom economico stava esaurendosi e con esso l’illusione di una crescita ininterrotta capace di rispondere ai bisogni e alle domande sociali. Da qui la nascita di movimenti molteplici e l’intensificarsi di uno scontro politico e sociale di vaste proporzioni. Ma i gruppi dominanti anziché raccogliere la sfida insita nella forte domanda di cambiamento e aprirsi al confronto coltivano il sogno di un ritorno all’indietro. Le tensioni aumentano e lo scontro si fa più acuto, mentre crescono pure le divisioni nel mondo del lavoro e tra i cittadini. Molti infatti sono preoccupati e spaventati di quanto sta succedendo. Un sentimento diffuso sul quale le forze conservatrici faranno leva per bloccare la spinta rinnovatrice. In questo clima nasce la cosiddetta “maggioranza silenziosa” e si spiana la strada a una destra sempre più spregiudicata e aggressiva.

L’Italia, aldilà del voto, appare come un Paese dilaniato da spinte e contro spinte che mettono a dura prova il sistema politico e i partiti.

Il 1970 è l’anno di alcune grandi riforme come lo Statuto dei lavoratori, il nuovo ordinamento regionale, le norme sul Referendum e la legge sul divorzio. Ma è pure l’anno che si apre con una crisi di governo che si trascinerà per oltre due mesi e, una volta risolta, si ripeterà qualche mese dopo, a luglio proprio mentre a Reggio Calabria esplode la rivolta dei “boia chi molla”. Motivo scatenante è la disputa sul capoluogo regionale avviata da esponenti dc, ma poi gestita dal caporione fascista Ciccio Franco. Un anno complicato che si concluderà con il tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese, orchestrato da servizi deviati e vecchi arnesi del fascismo. Un colpo di stato forse da operetta, ma i timori per la democrazia erano più che fondati e, purtroppo, negli anni successivi, ne avremo una drammatica conferma.

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