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Storia

REPUBBLICA DELL’OSSOLA: LA LEZIONE DI CONTINI

FRANCO GIANNANTONI - 13/04/2012

Gianfranco Contini

Nel centenario della nascita di Gianfranco Contini è opportuno ricordarlo, nella disastrata Italia di oggi, come hanno già fatto degnamente la città natia di Domodossola, gli editori Manni e Serra e lo scrittore Domenico Scarpa con saggi e ristampe di suoi libri, e come grande filologo e critico letterario, maestro di tante generazioni, medaglia d’oro della Repubblica italiana nel 1969 “per i benemeriti della cultura e dell’arte” e per il fondamentale ruolo avuto nell’epopea della Giunta di governo della Libera Repubblica partigiana dell’Ossola, quella stretta striscia di aspra terra ai confini con la Confederazione Elvetica in cui si espresse, in piena occupazione nazifascista, il massimo del modello democratico nella gestione dell’interesse della comunità stremata da lutti e da privazioni.

Molti storceranno il naso scettici e increduli, vittime, consce o inconsce, della modernità dissacrante, ma è proprio da lì, da quella stagione indimenticabile e da quei valori di solidarietà, onestà, senso civico, che si dovrà ricominciare se si vorrà recuperare il terreno perduto. Partiti e movimenti sono figli oggi di una subcultura mercantile e mercenaria legata al proprio interesse. Per toglierla di mezzo occorrerà al più presto riprendere il filo perduto. Questione di generazioni, non so di quante.

L’esempio del grande ossolano Contini ci serve. Il suo pensiero va rimeditato. La Repubblica dell’Ossola rappresenta in sintesi quello che non possediamo più: il senso di una politica esercitata nell’interesse di tutti, un esercizio quotidiano di sacrificio, non l’agire scomposto di un buttafuori-portaborse, di una maga-fattucchiera perditempo e dei suoi rampolli, o di una badante con gigolò appresso con tanto di laurea comperata in Svizzera..

Il governo dell’Ossola durò dal 10 settembre al 23 ottobre 1944, quarantaquattro giorni, meno del doppio dei celebri ventitre giorni di Alba narrati da Beppe Fenoglio, meno della Repubblica di Montefiorino, un po’ di più di quella valtellinese di Buglio in Monte. La zona di cui Domodossola era il capoluogo fu certo la prima nell’Italia del Nord a liberarsi con le proprie forze dai criminali tedeschi e fascisti di Salò, molti giunti dalla super fascista città di Varese con la Decima MAS delle basi di Angera, di Luino e di Gavirate, della Scuola Allievi Ufficiali della GNR del Collegio Sant’Ambrogio, del Raggruppamento Arditi Paracadutisti di Tradate, del Battaglione Venezia Giulia del “Gaggianello”. Banditi sanguinari.

Nella Giunta repubblicana presieduta dal professor Ettore Tibaldi, fra i vari ministri (ricordo uno per tutti la comunista milanese Gisella Floreanini), Gianfranco Contini che era nato a Domo il 4 gennaio 1912 (è morto nel 1990), rappresentava il Partito d’Azione nel Comitato di Liberazione Nazionale. Dall’Università di Friburgo dove dal 1938 insegnava Filologia Romanza era accorso in aiuto della Patria come la Floreanini, come i fratelli Adolfo e Bruno Vigorelli, figli di Ezio, assassinati nel rastrellamento della Valgrande e come il ventenne varesino Marco Giani (fratello dell’ingegner Carlo, partigiano della “Bruno Passerini”) caduto alla Punta del Migiandone proprio in quei giorni, colpito a morte da una pattuglia repubblichina..

Se il problema più acuto che tormentava la popolazione ossolana era quello del rifornimento di generi alimentari, pane e latte per primi (la fame e il gelo rendevano la sopravvivenza al limite della sopportazione), la Giunta, con grande acume, non dimenticò l’aspetto culturale a cominciare dalla scuola e da una riforma che sapesse recidere di netto il nodo che la legava al regime mussoliniano.

Sorse un Commissariato apposito di cui fecero parte con Contini che ne fu l’ispiratore, don Gaudenzio Cabalà (uno degli “eroi” del Sempione che i tedeschi volevano far saltare con gli esplosivi disinnescati dai “fornelli” da un gruppo di partigiani alla testa del sacerdote e del comunista varesino Fulvio De Salvo “Pier”), lo scrittore novarese Mario Bonfantini e Carlo Calcaterra.

Il succo dei lavori fu un Manifesto programmatico che in sintesi aveva indicato il cammino da dover percorrere. Concetti attualissimi. “Le parole educare o rieducare non possono significare se non rifare spiritualmente l’Italia, preparando gli italiani a essere sé stessi con piena coscienza della trasformazione che oggi si svolge nella società europea e negli Stati di tutto il mondo con esigenze di carattere universale”.

Parole “sante” si potrebbe dire, il vangelo laico del tormentato, cialtronesco oggi. Gianfranco Contini aveva voluto chiosare così: “la faccenda dell’Ossola in settembre-ottobre fu una cosa molto umana e importante. Abbiamo vissuto nell’ossigeno della libertà, esperienza che è certo mancata a tutti gli altri italiani. Unanimità, entusiasmo collettivo, esaltazione”.

A quarantaquattro anni dai fatti, a Ludovica Ripa di Meana che gli aveva chiesto di rievocare i giorni della Repubblica, rispose con le stesse, identiche, forti parole: “Esaltante. Assolutamente esaltante. E la cosa più straordinaria è che la popolazione seguiva con particolare entusiasmo – popolazione che solitamente si ritiene sonnolenta e poco interessata alla cosa pubblica – : era veramente entusiasta. E quando la Val d’Ossola fu rioccupata, la gran parte della popolazione si rifugiò in Svizzera e i fascisti trovarono la città deserta”.

Ma il cuore di quell’esperienza libertaria fu disegnata da Contini così: “Era l’essere noi contro gli altri. L’essere noi, radicati in questa terra, contro gli usurpatori”.

Esaltazione. Entusiasmo. Sono le due passioni etiche e religiose (di una religione civile, sostenuta e nutrita dalla cognizione evangelica del sacro) che permettono di “leggere” il pensiero di Contini. Due parole che vanno colte nel loro significato etimologico: un innalzamento euforico ma non incosciente nel pieno di una situazione estrema dove la libertà riconquistata si trova esposta al rischio della perdita e della morte fisica.

Già sul finire del ’45, con il siluramento del governo di Ferruccio Parri con un colpo di mano del Partito liberale italiano sostenuto da altre forze politiche, compreso il PCI (il rigore di “Maurizio” dava troppo fastidio) e con lo sbriciolamento del Partito d’Azione davanti ai primi cenni della feroce lotta partitica, Contini non ebbe più un simbolo nel quale identificare le sue posizioni.

Continuò ad insegnare con grande energia pedagogica nel segno della sua perenne intransigenza anti-qualunquistica.

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