La buona politica c’è, non ci stancheremo mai di dirlo. Come c’è sempre stata, altrimenti tanti che oggi la praticano non avrebbero fatto la scelta di dedicarvi buona parte della loro vita, senza stipendi, arricchimenti e vantaggi personali. L’omologazione, alla quale i detrattori dei partiti cercano di ricondurre la gente comune, è facile, direi facilissima di fronte ai casi isolati di pochi che “fanno man bassa” di posti, poltrone e privilegi immeritati.
“Siete tutti ladri” mi sono sentita dire anche io, una di queste mattine, mentre prendevo il caffè in un semplice e familiare bar di rione e nel calderone chi mi parlava ha tirato dentro senza ritegno tutti quanti dai vertici del governo giù giù fino al politico locale il cui nome compariva sul giornale che avevo aperto dinanzi agli occhi. Pensavo alla mia onesta laurea in lettere, presa restando in corso e studiando seriamente; pensavo ai miei alunni che frequentano regolarmente la scuola e saltano di gioia per una votazione insufficiente recuperata; pensavo a quelle famiglie che, con grande dignitosa modestia, anche quest’anno hanno chiesto di dilazionare i cento euro di iscrizione annuale alla scuola pubblica perché non ce la fanno a versare il contributo in una volta sola; pensavo ai miei genitori, ai miei nonni e agli ideali forti che hanno intessuto con grande semplicità le loro storie di gente comune.
A questo pensavo mentre venivo sovrastata da parole del più basso qualunquismo. Che mi spaventa tanto quanto, a qualsiasi latitudine partitica di stemma e colore, mi spaventano coloro che hanno annusato il malvezzo di ritenere il ruolo istituzionale un mezzo, più facile e comodo oltre che più redditizio di altri, per fare carriera, nel senso di avere un ufficio, un riconoscimento sociale più o meno esteso, un guadagno che non sa né di sudore, né di calli alle mani e nemmeno di ore chini sui libri. Mi spaventa la superficialità con cui, molte volte, questo ruolo istituzionale è ricoperto e ripenso a quando assistevo da giovane a “tribuna politica” alla televisione e, destra, centro o sinistra che fossero, i politici parlavano correttamente di argomenti che padroneggiavano e soprattutto trasmettevano istintivamente un senso di rispetto nei confronti di chi li stava ascoltando e, altrettanto istintivamente, lo richiedevano, ottenendolo.
Anche certa arroganza, più o meno esplicita e ugualmente bipartisan, è da temere: quella di chi urla con aria da padrone e quella di chi non urla ma il padrone lo fa lo stesso, imponendo scelte, persone e criteri con il piglio di un “ipse dixit”. Nemmeno mi piace la ripetitività con cui le facce compaiono sul palcoscenico della politica: ce ne sono alcune che non cambiano da decenni, magari in ambiti istituzionali differenti, giusto per modificare il ruolo onde aggirare l’ostacolo della rotazione. Non sono una sostenitrice né del giovanilismo a tutti i costi, né della difesa a oltranza delle “quote rosa”: preferisco parlare di uomini, donne, giovani e adulti che ai vari livelli, politica compresa, ci mettono entusiasmo, intelligenza, passione e volontà per costruire qualcosa. E la politica bella è fatta di questa gente: quella che non calcola prima il proprio guadagno e poi sceglie il partito di militanza o appartenenza, quella che non si accoda ad un nome istituzionale in auge per ottenere qualcosa di utile per sé, quella che non sgomita per scacciare altri nell’ombra, quella che non rincorre la gloria personale ma il bene di tutti, quella che è fedele a un’idea ma sa essere critica con chi questa idea non la rappresenta o non la difende, quella che non assume posizioni integraliste ma sa guardare con obiettività i fatti, quella che non fa scelte amministrative per accontentare tizio o caio in quanto deve loro qualcosa.
La bella politica è quella della gente che soffre e si arrabbia perché i soldi pubblici servono a rimborsare i partiti, più ancora quando questi soldi finiscono nelle tasche di qualche tesoriere o di pochi privilegiati. I fatti attuali relativi alla Margherita o la bufera in casa leghista ne sono esempio. Sicuramente una politica meno arricchente per chi la pratica a certi livelli sarebbe un ottimo deterrente per chiunque si faccia intenzioni sbagliate nel candidarsi. Come sarebbe urgente porre dei limiti reali alle spese per le campagne elettorali, anche e soprattutto se dietro le spalle uno si trova magari il supersponsor. Durante le elezioni amministrative dello scorso anno il parente di un candidato consigliere mi ha snocciolato, anche con una certa vanagloria, quante migliaia di euro aveva speso il proprio nipote per farsi campagna elettorale. Da rabbrividire, soprattutto se pensiamo a quale messaggio si annida dietro una scelta del genere, condivisa senza battere ciglio sia in famiglia sia nel partito di schieramento. Una politica così ai giovani fa solo male e agli adulti, che la consentono, fa ancora peggio.
Torniamo allora a pretendere, noi cittadini, che sia la forza delle idee a sostenere le persone, che sia la credibilità spesa sul campo a dirne la coerenza, che sia la correttezza a garantirne la serietà in ambito amministrativo. E con forza ridiamo dignità al ruolo attivo di cittadini elettori, cuore della democrazia. L’errore più grande sarebbe quello di allontanarsi dalla politica con il ribrezzo con cui si rifuggirebbe una malattia pestilenziale: è questo il gioco cui tentano di farci sottostare molti finti moralizzatori che spacciano l’antipolitica come democrazia. La bella politica la fanno le persone comuni nel momento in cui alla politica dimostrano di continuare a credere e la vogliono nuova, solida, rinnovata, onesta e pulita.
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