Per aula si intende lo spazio fisico e per classe l’insieme degli studenti, giovani, ragazzi o bambini che tale spazio occupano. La precisazione serve solo a evitare la frequente sovrapposizione dei due termini usati come sinonimi.
Oggi è doveroso rivalutare il ruolo e il valore della classe, insieme a quello dell’aula che la contiene, a sostegno dei troppi studenti stressati dai mesi di chiusura della scuola e stanchi di aule solo virtuali. Eppure si tratta di generazioni avvezze all’uso delle tecnologie che hanno consentito loro di conservare una parvenza di continuità ma che oggi sentono l’urgenza di una scuola vera e di un luogo reale dove recarsi ogni mattino.
All’inizio di questo millennio una pandemia del livello del coronavirus avrebbe provocato un black out sociale dalle dimensioni disastrose sulla scia di interminabili mesi di lontananza totale dall’istruzione e dalla socialità: uno scenario impensabile, dai contorni allucinanti.
Tanti ragazzi dichiarano di provare nostalgia della scuola. Avvertono la mancanza, fortissima, della propria classe come insieme omogeneo, dei singoli compagni, degli insegnanti, di ogni rito scolastico prima temuto e oggi auspicato: le verifiche, le interrogazioni, le lezioni dalla cattedra, i voti, le incertezze sul futuro. Anche se ciò che si desidera riavere ieri si trovava dentro aule sovraffollate, poco accoglienti, carenti di suppellettili adatte a giovani in crescita.
Anche i docenti provano nostalgia della vita in comune con gli studenti, del mondo rumoroso che si crea dentro l’aula, considerata da tanti pedagogisti poco più di un presidio scolastico tardo ottocentesco. L’aula oggi torna ad apparire a bambini e ad adolescenti come un miraggio: una stanza che accoglie loro e i docenti in carne ed ossa.
Sognando una scuola reale abbiamo accantonato l’imbarazzo che ci coglieva visitando le scuole dei paesi europei più ricchi quando le paragonavamo alle nostre. Avevamo invidiato i loro campi per lo sport, i laboratori con le pareti mobili, gli angoli attrezzati di biblioteche e di sussidi di ogni genere, le attrezzature e i materiali per il lavoro manuale e per le attività artistiche.
Anche noi avevamo provato, a nostre spese più che a spese della politica, a rianimare e ravvivare la scuola e i suoi spazi. Abbiamo lavorato per aprirla al sociale e all’attualità, per introdurla a un sapere più ampio dello spazio aula con cattedra e banchi.
Abbiamo ricercato un sapere multiforme, che si nutre anche fuori dall’aula e dalla scuola, nei teatri, nei parchi tematici, nei musei, nei cinema, nelle biblioteche, attingendo infine al vasto mondo della rete.
È stato così che la scuola italiana, nonostante i difetti strutturali, è riuscita a superare le ristrettezze dell’aula come “orto concluso”.
Oggi però, in tempi di coronavirus, l’assenza della scuola come edificio, dell’aula come contenitore, della classe come luogo di incontro, stanno provocando un vuoto pericoloso che sarà colmabile solo in presenza.
Lo afferma il professor Asor Rosa quando definisce l’aula come il luogo principe della trasmissione del sapere, lo spazio insostituibile dentro il quale informazioni e saperi prendono forma, ma solo e unicamente nel contatto fisico fra discenti e docenti.
“La comunità fisica – scrive– è un coefficiente indispensabile di una comunità intellettuale funzionante”.
Infatti la fisicità, l’essere presenti in quel luogo e in quel momento, appunto nell’aula, è certezza della relazione esistente tra chi insegna e chi apprende, e garantisce che vi sia un passaggio di sapere vitale tra adulto e giovane.
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