(S) Questa storia del covid19 deve essere ridimensionata, almeno nello spazio che vi dedicano i mezzi di comunicazione; anche la politica più alta sembra impastoiata dai numeri del bollettino quotidiano, come se dalle comunicazioni della Protezione civile o da quelli della Johns Hopkins dipendessero i destini d’Italia o del mondo. Non ci sono altri argomenti di rilievo generale, più trascurati?
(C) Provo a proporvene qualcuno. Per esempio, nello scontro Di Matteo vs Bonafede, chi ha mentito? Questa domanda attende ancora una risposta, cui i cittadini hanno diritto. La politica ha dato l’impressione di trattare questo argomento in maniera pretestuosa, l’opposizione nel tentativo di dare una scossa al governo, a costo di apparire allineata con una parte della magistratura aborrita fino al giorno prima, i 5Stelle solidali con il loro ministro a costo di scostarsi dalla regola che la magistratura ha sempre ragione e la politica sempre torto, il PD a reggere il governo con la consueta convinzione, l’IV (che vuol dire Italia Viva, cioè Renzi) fingere una minaccia grave ben sapendo di non poter assolutamente rischiare crisi di governo e tanto meno elezioni, il resto della sinistra scomparsa. Ma scavando un po’, le domande senza risposta sono scomode e non irrilevanti per un cittadino (enfatizzo a bella posta il termine usato normalmente dai 5S) che voglia vederci chiaro. Non essendo particolarmente ferrato in materia, mi faccio forte del parere del prof. Pagliano, docente di procedura Penale alla seconda Università di Napoli.
“Un paese civile degno di questo nome deve pretendere di capire cosa si celi dietro quelle così particolari esternazioni fatte in diretta televisiva da un consigliere del Csm in carica nonché pubblico ministero della Direzione nazionale antimafia nei confronti di un ministro del Governo in carica. I cittadini, per quanto stremati dalla clausura e avvolti in seri problemi economici, hanno il diritto di capire chi fra i due contendenti abbia mentito all’opinione pubblica.
È necessario mettere un pizzico di ordine. Le dichiarazioni di Di Matteo interessano un duplice ambito di aspetti: quello che potremmo dire politico e quello che potremmo definire giudiziario. Sul secondo aspetto, urge mettere subito in assoluto rilievo, cosa di cui troppo poco si è parlato pur nel mare di commenti che hanno avvolto la vicenda in questione, che ciò che è stato riferito attraverso la diretta televisiva rappresenta una potenziale notizia di reato.
Posto che evidentemente uno dei due abbia mentito all’opinione pubblica e continui a farlo, se fosse fondata l’accusa rivolta da Di Matteo al ministro Bonafede, essa corrisponderebbe a una grave condotta di subalternità nei confronti delle mafie. Per molto meno si sono intentati processi per concorso esterno o quanto meno per favoreggiamento. Se fosse riscontrata l’accusa rivolta al ministro, essa sarebbe da iscriversi nel filone delle azioni che hanno ispirato il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ben nota a Di Matteo per averne coordinato le indagini e sostenuto l’accusa in giudizio. Sarebbe quindi da comprendere, senza esitare un solo minuto, perché la notizia è stata rivelata dal diretto interessato solo dopo due anni e in sede televisiva invece di farne subito oggetto di approfondimento investigativo”.
(O) Perché non accontentarci del giudizio del Parlamento, che conferma la fiducia a Bonafede?
(C) Il dibattito parlamentare non ha fornito nessuna prova a sostegno dell’una o dell’altra tesi e, come detto sopra, solo in presenza di una fondata notizia di reato sarebbe dovuta iniziare una procedura istruttoria nei confronti del ministro. Quindi, al netto delle convenienze politiche, anche opportunistiche, il ministro ne esce meglio del giudice. Infatti continua il prof. Pagliano:
“… qualunque sia la verità, emerge in tutta la sua drammaticità il problema dello scollamento fra le istituzioni dello Stato. Se, come ha ritenuto il Parlamento, il ministro ha fornito una spiegazione convincente che non mette in discussione la bontà delle sue scelte, delle due l’una: o Di Matteo ha agito in buona fede nel fornire la sua versione e quindi non ha ben capito i termini della proposta ricevuta, cosa che ne metterebbe in seria discussione le sue capacità cognitive, o Di Matteo ha, per qualche ragione da comprendere, voluto lanciare un messaggio, rivendicando una sorta di controllo etico sulle scelte del ministro.
In tutti i casi, da qualunque punto di vista la si voglia guardare, le ferite, che quelle dichiarazioni hanno aperto, alimentano un clima di sospetto che le istituzioni di un paese serio dovrebbero preoccuparsi di dissipare più che rapidamente. Le dichiarazioni rilasciate dal pubblico ministero alimentano la sensazione, francamente pericolosa, che la magistratura ritenga di poter esercitare sulla politica a cui è affidato il governo del paese una sorta di tutela. Una implicita affermazione di supremazia etica che i recenti e continui scandali sulla gestione delle nomine da parte del Csm sta rendendo sempre più erronea oltre che perniciosa”.
(S) Non mi sorprende questa presunta affermazione di supremazia etica da parte della magistratura: è in atto da quasi trent’anni e direi che la politica non ha saputo contrastarla. Piuttosto gli scandali sulle nomine disposte dal CSM potrebbero smentirla dal suo stesso interno. Lo stesso Bonafede ha colto la palla al balzo, annunciando l’intenzione di procedere ad una riforma del CSM in via legislativa.
(O) Questa sarà l’occasione per il Parlamento di riprendere vigorosamente e senza schieramenti pregiudiziali la sua funzione di supremo normatore. Però mi rimane l’amaro in bocca, nel pensare che il Parlamento come tale, prescindendo dagli schieramenti, non abbia tentato un minimo di approfondimento su un tema così essenziale come un possibile condizionamento mafioso dell’operato della Governo e proprio del Ministro della Giustizia: non è possibile lasciare un’ombra di sospetto su di un livello così alto. Non c’è emergenza sanitaria o economica che giustifichi questa scelta. Forse ancora più dannose al riprendere un clima di fiducia verso le istituzioni sono le vicende dipanatesi dal ‘caso Palamara’. La famosa divisione dei poteri non è più il primo pilastro dello ‘Stato di diritto’?
(S) Bella domanda! Come dicono i politici quando non sanno o non vogliono rispondere. Forse non basterebbe un libro per rispondere. Accontentiamoci di sapere che il dott. Palamara, rivelandoci alcuni segreti, peraltro qualificabili come ‘ di Pulcinella’, grazie alla sua malaccortezza di esagerare nella gestione del suo potere d’intrallazzo, ha spinto i colleghi ad intercettarlo e a divulgare contenuti imbarazzanti, anzi francamente incredibili, come le ormai famose e inquietanti chat dei magistrati, nelle quali i magistrati dicevano sostanzialmente che “Salvini ha ragione, ma va comunque attaccato”. Sappi che neppure quel ‘quarto potere’ che Montesquieu non conosceva, l’informazione in tutte le sue articolazioni, è esente dai condizionamenti della politica, pur appartenendo per natura alla società civile e non allo Stato. Diciamolo con tutta modestia e con un fil di voce: è per fare un esercizio di libertà e un servizio ai ‘cittadini’, o meglio alle persone, che ci affanniamo a scrivere queste poche riflessioni. Alla domanda di Onirio non rispondo, pongo un’altra domanda: ammesso che lo Stato, bene o male, cerchi di mantenersi come realtà al servizio di ciò che ho appena chiamato, pomposamente, società civile, cioè della gente, la sua natura attuale, connubio di politica e burocrazia, conosce veramente questo mondo, i suoi bisogni, le regole fattuali, insomma la vita concreta? Vi porto un solo esempio: l’esaurirsi in un click di un secondo e mezzo della possibilità per le aziende di chiedere il rimborso delle spese per la sanificazione degli ambienti di lavoro,
(O)Di che si tratta? Mi sono distratto.
(S)Del sistema applicato da Invitalia, società pubblica incaricata a questo scopo dal Governo, per consentire alle aziende di accedere ai rimborsi per le spese sostenute per l’acquisto di DPI (dispositivi di protezione individuale, alias mascherine ecc,) ispositivi di protezione individuale, D finalizzati al contenimento e al contrasto dell’emergenza epidemiologica. Il 99% delle imprese è infatti rimasta fuori. Le prenotazioni per presentare il rimborso sono state a livello nazionale quasi 250mila. Due sono gli errori che dimostrano mancanza di conoscenza della realtà: l’entità dello stanziamento decisamente insufficiente e la modalità dell’assegnazione, nemmeno dipendente dalla velocità di ‘schiacciamento del tasto, ma dal fatto che premia chi ha la possibilità di accedere ad infrastrutture di connessione principali, penalizzando le imprese che vivono in periferia o in montagna. L’Italia va a più velocità di connessioni, ci sono aree di serie A e di serie B, a volta anche di serie C, e quando si fanno certi bandi, importanti come questo, bisognerebbe dare a tutti devono la possibilità di partecipare ricevendo il medesimo contributo, per diritto e non per fortuna o chissà perché. Più in generale, il bando di concorso premia un merito per uno specifico obiettivo, non è corretto usarlo per rimborsare una spesa dovuta ad obbligo imposto da una legge.
(C) In questo modo un diritto è stato trasformato in una lotteria. Questo risultato ha solo parzialmente mitigato una mia amarezza, il fatto che tutte le imprese del cosiddetto terzo settore non potessero accedere a questo rimborso perché, pur essendo iscritte al registro delle imprese della Camera di Commercio, non lo sono a pieno titolo, per la paradossale ragione che non hanno scopo di lucro. In tema di lotteria, l’unico merito dell’epidemia è di aver costretto al rinvio della famosa lotteria degli scontrini, incredibile espediente della sedicente lotta all’evasione fiscale.
(S) Mio malgrado siamo tornati ad argomenti connessi con l’epidemia. Ma in questo momento arriva la notizia che la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato ha negato il processo a Salvini; mio malgrado anche in questo caso, ritorniamo ad occuparci di accoglienza ai migranti non per una presa di posizione pregiudiziale, ma per portare alla luce un aspetto della vicenda che forse sarà più chiaro quando leggerete l’articolo sabato prossimo, ma che ora non lo è affatto. Immagino già il disappunto di Avvenire, il piagnisteo dei buonisti di tutti i colori politici, ma consiglierei a Salvini di aspettare ad esultare, infatti leggete il resoconto che fa Repubblica.it della vicenda: “ La seduta dell’organismo presieduto da Maurizio Gasparri è iniziata pochi minuti dopo le 9. Il pronostico era già da ieri sera a favore dell’ex ministro dell’Interno, sebbene i numeri fossero sul filo. Ma la svolta di oggi ha dato un esito schiacciante: a conti fatti, la votazione è finita 13 a 7. Contro il processo si sono espressi i cinque senatori della Lega, i quattro di Forza Italia, Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, Meinhard Durnwalder delle Autonomie e l’ex M5s Mario Giarrusso, considerato in un primo tempo l’ago della bilancia (ma poi ci hanno pensato i renziani a sollevarlo da questa responsabilità). In senso positivo si sono invece pronunciati Anna Rossomando del Pd, Pietro Grasso di Leu, Gregorio de Falco del Misto. Mentre, come già detto, i tre rappresentanti di Italia viva non hanno preso parte al voto. Per il sì solo quattro senatori del Movimento 5 stelle su cinque, visto che Riccardi ha votato no. La parola finale spetterà comunque all’Aula di Palazzo Madama, che entro fine giugno dovrà pronunciare il verdetto definitivo. La proposta di diniego avanzata dalla Giunta per essere confermata dovrà essere approvata con 161 voti, la maggioranza assoluta dell’Assemblea. Altrimenti si considererà respinta”. Se Repubblica ha letto bene il regolamento del Senato, la vittoria in commissione ha un valore politico, ma non prefigura la vittoria definitiva in aula, perché Italia Viva in questo caso non potrebbe astenersi, ma dovrebbe votare a favore della proposta della giunta: un bel pasticcio.
(C) Può sembrare paradossale, ma non è solo il regolamento a stabilire questa norma, è la legge costituzionale n.1 del 1989 che stabilisce: “L’assemblea si riunisce entro sessanta giorni dalla data in cui gli atti sono pervenuti al Presidente della Camera competente e può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.
Si capisce chiaramente che il voto in commissione è interlocutorio ed ha certamente un valore politico contingente, ma dovrà essere confermato a maggioranza assoluta e con questa esplicita motivazione politica, mettendo quindi alle strette sia Italia Viva, sia eventuali pentastellati dissidenti. In assemblea a fine giugno il voto sarà assolutamente politico. Sulla carta le opposizioni non possono arrivare ai necessari 161voti senza il voto favorevole di Italia Viva e di tutto il Gruppo delle Autonomie. Anche solo assenze o astensioni tra i senatori favorevoli al diniego dell’autorizzazione potrebbero ribaltare il voto. Non oso fare previsioni, né sul risultato, né sulle conseguenze, quale che sia l’esito. Ma in ogni caso il trasformismo opportunistico degli uni o degli altri non gioverà alla fiducia degli elettori in questo Parlamento ma forse potrebbe giovare alla democrazia, se farà comprendere all’opinione pubblica, insieme agli altri esempi prima ricordati, quanto siano necessarie che nel Parlamento e nel Governo siano presenti e attive virtù civili come competenza, serenità di giudizio, coerenza, lungimiranza.
(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante
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