In un articolo pubblicato il 9 maggio scorso su un diffuso quotidiano, lo storico Galli della Loggia scrive che “fin dall’epoca costantiniana,[la Chiesa] ha sempre fatto politica…allo scopo di affermare e difendere i propri interessi e i propri valori”, ma Papa Francesco si dimostra sempre più “ideologico e non politico” anche perché nei suoi discorsi si nota l’assenza “di qualunque esortazione alla necessità del pentimento e della conversione… la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione”.
Stimo l’illustre docente per le sue analisi politiche, ma sottovoce e con umiltà, vorrei considerare che egli ragiona con categorie storiche e non può fare il teologo. Come storico sa che, durante la cristianità, la Chiesa, alleandosi con il potere politico, ha “convertito” non per attrazione, ma per “imitazione” come dimostrano l’adesione alla fede cristiana di molti popoli che hanno ripetuto pedissequamente il battesimo dei loro re, come in Francia o in Ungheria. In altri luoghi, come nelle Americhe, la “conversione” è avvenuta per “imposizione” o sotto la forza della colonizzazione europea. Durante la cristianità si sono svolte le crociate, la notte di San Bartolomeo, l’inquisizione e la benedizione degli eserciti che andavano a uccidere donne e uomini in nome di Dio, “la parola più insanguinata della nostra storia” (come diceva M. Buber). Durante la cristianità i cristiani sono giunti a dare a Dio un volto perverso, in nome della giustizia, proiettando su di lui il desiderio di vendetta, di forza, di trionfo.
L’epoca costantiniana – in cui tutto veniva sacralizzato al fine di custodire un potere politico – è terminata col “magno” Concilio Vaticano II. Da allorala cristianità è stata seppellita e la Chiesa si è spogliata di tutti gli orpelli inutili per far risplendere il vero volto di Cristo, che è misericordioso e compassionevole. Dopo secoli di intransigentismo e di predominio della condanna sulla misericordia, la Chiesa ha cominciato a impiegare le sue energie per essere ministra di misericordia, testimone di misericordia, casa e scuola di misericordia. La sua autorità oggi è di natura evangelica non più politica. Per comprendere l’insegnamento di Papa Francesco occorre utilizzare queste categorie che trovano la loro fonte nel Vangelo.
Fu san Giovanni XXIII a iniziare questa purificazione della Chiesa (“la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi delrigore”),venne poi san Paolo VI (“avremo nella vita della Chiesa…un periodo di maggiore libertà…sarà ridotta l’ubbidienza formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà semplificata la legge positiva, temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana, che tanto interessò la prima generazione di cristiani…”), san Giovanni Paolo II pubblicò addirittura l’enciclica Dives in misericordia e Benedetto XVI all’iniziodel penultimo conclave invitò i cardinali “a promulgare, non solo a parole, ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti “l’anno di misericordia del Signore”.
Papa Francesco si è fatto carico di proseguire con la parola e di testimoniare con i gesti quanto i suoi predecessori avevano invocato, ma lui lo fa in modo più denso di significati tralasciando i segni del potere e sostituendolo con quelli del servizio. Papa Francesco, affacciandosi alla loggia centrale di San Pietro, appena eletto, ha chiesto al popolo di Dio riunito in piazza di pregare e di benedire il nuovo “vescovo di Roma”, non è rientrato nell’appartamento pontificio ma è salito sul pulmino assieme ai suoi fratelli cardinali e si è diretto a Santa Marta ove ha posto la sua abitazione, non siede sul trono da re, ma su una poltrona, tiene l’omelia della Messa in piedi come fa ogni buon parroco, ha abbandonato vesti da “bassorilievo assiro”, non ostenta ornamenti, al giovedì santo si cinge i fianchi con un grembiule, si abbassa a lavare i piedi ai migranti (anche se islamici), ai più poveri, ai giovani detenuti. Parla di “chiesa in uscita”, di “periferie esistenziali”, di chiesa “come ospedale da campo”, di “pastori con l’odore di pecore”.
Per convertirsi, l’uomo di oggi è invitato da Papa Francesco a pentirsi e a ritrovare Dio non nello spiritualismo disincarnato, fatto di formule e di riti, lontano dalla realtà in cui è immerso, ma nell’uomo, preferibilmente il più bisognoso, fatto a immagine e a somiglianza di Dio. Ciò non è lassismo o ideologia: è verità del Vangelo, cioè “la buona notizia” per tutti gli uomini. Chi accusa Papa Francesco di eccessivo antropocentrismo non ha letto la Lumen Fideie chi l’accusa di essere poco politico dovrebbe leggere la Laudato si’. Nella prima, papa Francesco parla di Cristo “come manifestazione massima dell’amore di Dio” e nella seconda espone i drammatici problemi dell’ambiente e del mutamento climatico. Certamente, il discorso di Francesco non è squisitamente religioso come molti vorrebbero perché Cristo non è venuto a creare una religione, magari da vivere nella sfera privata, ma per dare il lieto annuncio dell’amore per Dio e per tutti gli uomini. E che cosa c’è di più politico della seconda enciclica?
Chi scorge nel pontificato di Francesco una visione areligiosa o la mancanza di una Chiesa che non ha più impatto con il politico, questi sì lo fanno per una ideologia: ci sono i trionfalisti che hanno nostalgia per i bei tempi durante i quali la Chiesa viveva nell’onnipotenza, ci sono gli intransigenti che desiderano che la norma prevalga sullo spirito, ci sono i tradizionalisti afflitti perché la corte pontificia è diventata la famiglia del Papa e il suo elemosiniere è inviato tra i più svantaggiati a distribuireagli scartati dalla società il pane e un sorriso, ci sono i puri e giusti che vivono la “sindrome del figlio maggiore” come è raccontato nella parabola del Padre misericordioso (“Come? Tu fai festa per il fratello che ha peccato e non per me che sono tanto pio e devoto!), ci sono i perbenisti e benpensanti (“Come osa ricevere in udienza quel prete da strada?”), ci sono gli sguaiati sovranisti col rosario in mano…
Siamo in molti a trepidare per Francesco che, al termine di ogni suo saluto, ci raccomanda di pregare per lui. Ne ha bisogno. Ma noi non saremo “gli araldi della fede”, ma “sentinelle che gridano giorno e notte che verrà ancora l’alba e che la notte non è l’ultima parola” (Enzo Bianchi).
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