Rispondiamo all’amore di Gesù coltivando, a sua imitazione, la larghezza del nostro amore. Siamo chiamati ad arrivare, con amore, “fino alla fine” degli spazi della nostra vita di uomini. Tu ami fino alla fine quando decidi di non lasciare spazi a causa della durezza di cuore, della falsità, della corruzione. E tu affronti la vita cristiana in modo nuovo quando, finalmente, decidi di interpretare la tua esistenza (e quella altrui) in chiave evangelica. Il cammino che Gesù ci invita a compiere, per amare come lui ha amato, prende il nome di amore fedele nel tempo, di amore che non abbandona, non si stanca, non rimane in balia di emozioni passeggere o di un sentimentalismo senza radici.
Coltiviamo allora la lunghezza del nostro amore, rimanendo fedeli alle scelte di vita che coinvolgono altre persone. Ci vuole senso di responsabilità nei confronti degli impegni assunti e nella cura della qualità delle relazioni interpersonali: Ama l’altro in modo che l’altro possa fidarsi di te e affidarsi a te, così come tu puoi fidarti di Gesù e affidarti a lui. Poiché l’amore fedele appare estraneo alla cultura odierna, qui c’è un motivo in più per coltivarlo e rafforzarlo in modo intenso.
Salire all’altezza e scendere nella profondità dell’amore di Cristo è la sfida dell’imitazione di lui. Gesù ci propone di non temere l’altezza dell’amore, anche se dà le vertigini… Il contenuto essenziale di tale imitazione sta in una esperienza di amore intesa come dono di sé. L’altezza dell’amore non è romanticismo. Visto nella sua maturità, l’amore è dedizione. “Giunge un giorno nel quale – diceva don Orione a Ignazio Silone ancora adolescente – si comprende che la nostra gioia consiste nel divenire causa di gioia per gli altri”. Silone non l’ha dimenticato mai più. In quello ‘strano prete’ aveva visto l’attuarsi umile e meraviglioso della “avventura di un povero cristiano”.
I modi per “salire” sulla croce non sono sempre prevedibili. Non siamo chiamati a “scegliere” la croce, che di norma è già pronta. Gesù ti invita a scendere negli inferi. C’è una profondità, talvolta abissale, dove scendere. Non meno difficile che salire in alto. Scendere nella profondità dell’amore significa andare incontro alle ferite del male per lenirle, più che per giudicarle. Scendere è rendere presente ed operante la pace dove c’è la guerra, la verità dove c’è la falsità, l’accoglienza dove c’è il rifiuto, il bene dove c’è il peccato. È – come diceva S. Teresa di Gesù Bambino – “sedere alla mensa dei peccatori”: è credere per chi ha perso o non ha mai trovato la fede, è pregare per chi non prega o magari bestemmia, è servire per chi non lo fa.
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