La pandemia ha fatto capire i deficit degli apparati della sanità ma ha anche fatto scattare l’emergenza rifiuti determinata dalla carenza di impianti in oltre metà del paese.
Con circolare del 23 marzo a firma del Presidente di Ispra, infatti, il Sistema di protezione ambientale, SNPA, ha fornito le prime indicazioni per la gestione dei rifiuti in presenza dell’emergenza Covid 19. Tali indicazioni sono definite anche a seguito di linee d’indirizzo predisposte dall’Istituto Superiore di Sanità per la raccolta dei rifiuti extra.
In particolare, la circolare distingue i rifiuti urbani prodotti nelle abitazioni ove soggiornano soggetti positivi al tampone in isolamento o quarantena da tutti gli altri. Per i primi, il SNPA raccomanda che vengano avviati all’incenerimento senza alcun trattamento preliminare, in sostanza, considerando questi rifiuti alla stregua di quelli ospedalieri.
La circolare prende atto con disarmante chiarezza che nel nostro paese vi è carenza d’impianti e al fine di scongiurare ulteriori emergenze sanitarie, delinea prescrizioni per mitigare gli effetti dello stoccaggio temporaneo e lo smaltimento in discarica dei rifiuti potenzialmente infetti, prescrivendo di confinarli in zone ben definite.
Nel merito, faccio mie due considerazioni del giornale di Amici della Terra Italia chiamato “Astrolabio”:
- se è vero che la popolazione italiana probabilmente infetta è 10/20 volte quella che risulta dagli scarsi campioni effettuati, non si capisce perché l’avvio all’incenerimento dei rifiuti urbani dovrebbe riguardare soltanto quello prodotto dai cittadini risultati effettivamente positivi o in quarantena. Prudenza vorrebbe che la maggior parte degli urbani prodotti venisse avviata a termovalorizzazione, magari approfittando della capacità degli impianti determinata dal crollo dei rifiuti speciali da attività produttive;
- da tanti anni sappiamo che il nostro paese ha una carenza d’impianti. Nelle ultime 4 o 5 legislature, le Commissioni d’inchiesta sui rifiuti hanno puntualmente “scoperto” quello che è noto a esperti e aziende di settore (e che gli Amici della Terra hanno sempre denunciato): mancano impianti d’ogni tipo e quelli previsti da piani e provvedimenti non si fanno perché, quasi sempre, le amministrazioni e la politica “cedono” al dissenso della popolazione che non li vuole, in ossequio ad una sindrome NINBY insensata e ormai datata. Al contrario, andrebbero fatte scelte coraggiose per scongiurare ogni possibile emergenza igienico sanitaria e, soprattutto, per uscire dall’emergenza della gestione quotidiana dei rifiuti urbani in oltre metà del paese.
Varese eccelle nella raccolta differenziata. Se però restano rifiuti è molto meglio bruciarli che metterli sotto terra. Chiaramente ci deve essere il maggior rispetto per la vita umana e per la natura che principalmente vanno valorizzate. È del resto questa la finalità di quanto scrivo.
Assombiente e le altre associazioni di categoria denunciano carenze impiantistiche sia per i rifiuti urbani che per quelli speciali, in particolare per il centro e il sud. Per il sud peninsulare si stima che manchi una capacità di trattamento della frazione organica pari a 1,4 milioni di tonnellate e per 700.000 ton da avviare a incenerimento. Tradotto in numero d’impianti si può ipotizzare che manchino una decina di macchine di trattamento per l’organico (possibilmente, impianti di trattamento anaerobico per la produzione di biogas), e 4-5 strumenti di termovalorizzazione.
Sulle carenze impiantistiche di Roma Capitale si potrebbe scrivere un trattato e l’Astrolabio se n’è occupato spesso: http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1787 http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1741
Anche nel centro nord, la ricca e colta Toscana non ha portato a conclusione una pianificazione da tempo approvata che prevedeva, tra l’altro, la realizzazione di un impianto di termovalorizzazione a Firenze, preferendo la via della dell’ampliamento delle discariche e ipotizzando soluzioni impiantistiche tutte da verificare perché in fase di sperimentazione.
Qualche giorno fa il Presidente della Giunta toscana ha emesso un’ordinanza sui rifiuti per l’emergenza coronavirus che, in osservanza delle indicazioni ISS e SNPA, vorrebbe privilegiare l’incenerimento (pur nominandolo il meno possibile) ma che, purtroppo, si scontra con le reali capacità residue degli impianti ancora funzionanti in Regione. Né, in questo periodo, è lecito attendersi un aiuto dagli inceneritori di Brescia e Bergamo, alle prese con i problemi dei propri comuni martoriati dalla pandemia.
Di conseguenza, l’ordinanza della Toscana non fa che derogare alle norma vigenti aumentando le quantità di rifiuti da smaltire in discarica e aumentando tempi e volumi degli stoccaggi provvisori. In un periodo in cui siamo tutti preoccupati per un per un virus che è passato dagli animali all’uomo lasciare a lungo l’immondizia all’esterno, seppur in luoghi dedicati, non è il massimo. Anche questa ordinanza attesta chiaramente le difficoltà della Regione a far fronte ad una gestione dei rifiuti veramente conforme alle direttive comunitarie nonostante il calo della produzione dovuto alla chiusura di quasi tutte le attività artigianali e industriali. Se ci si fosse organizzati per tempo, il calo degli speciali avrebbe permesso l’invio a termocombustione di ulteriori quote rifiuti urbani potenzialmente infetti.
Da un recente studio del laboratorio Ref ricerche apprendiamo che, negli ultimi due anni, ma prima dell’emergenza sanitaria, le imprese hanno registrato crescenti difficoltà nella gestione dei rifiuti e sono aumentati i costi e i tempi di ritiro da parte degli operatori. Secondo questo studio, nei territori ove sussiste carenza d’impianti, i costi sono raddoppiati e, in alcuni casi, perfino triplicati. “Le cause sono da ricercare nelle carenze impiantistiche che, a partire dal 2018, hanno visto alcune Regioni dover fronteggiare una “paralisi” nella gestione del rifiuto. La situazione non pare critica solo per l’industria manifatturiera ma anche per le imprese di gestione dei rifiuti”. Lo studio indica la necessità di superare il dualismo tra rifiuti urbani e speciali ripensando profondamente la gestione dei rifiuti in tutto il paese.
È presumibile che la pandemia abbia peggiorato la situazione, anche a fronte della chiusura dei cementifici che, nell’ordinario, sono in grado di assorbire combustibili solidi secondari. Secondo il presidente di Assoambiente, Chicco Testa, il costo dello smaltimento dei rifiuti ospedalieri, ad esempio, si attesta già attorno ai 1000 euro a tonnellata.
Auspico che l’emergenza Covid19 posso a aiutare i nostri politici a riflettere, e a operare e legiferare sulla base di supposti scientifici e dati reali. Comprenderanno che il rifiuto non debba essere considerato qualcosa da eliminare bensì una ricchezza di cui essere fieri. Questi, infatti potranno essere materie prime seconde, calore ed energia. Andranno sempre messi in primo piano (come detto) le persone e i lavoratori oltre all’operatività delle aziende.
Ribadisco anche che la raccolta differenziata non è sostituita dall’incenerimento dei rifiuti. Andrà mandata in combustione solo la porzione non differenziabile e che solitamente viene portata in discarica. Di queste dobbiamo finalmente e definitivamente liberarcene.
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