Quando il cittadino pensa alla democrazia se la rappresenta come un sistema quasi perfetto, dove ognuno sa esattamente cosa deve fare, come si deve comportare, quali siano le regole da rispettare, insomma ha quasi la sensazione che tutto sia già scritto e che basti davvero pochissimo per rispettarla e metterla in pratica: Siamo sicuri che sia così? Già il fatto stesso di pensare che il cittadino sappia esattamente quello che deve e quello che non deve fare sembra un miracolo, capita spesso, infatti, di essere testimoni di vari tradimenti della democrazia, portati avanti da chi non ha capito niente della libertà, delle regole, di che cosa significhi esattamente avere una coscienza democratica e di metterla in pratica. Il problema vero è che democrazia, nella maggior parte dei casi, resta una parola vuota, priva di significato reale, usata dalla demagogia verbale, sempre molto abile nel gettare fumo per depistare il prossimo. Lo sanno bene i politici, che sulla democrazia e sulla Costituzione hanno costruito la loro storia, esibendola come soluzione istituzionalmente legittima di tutti i loro mali. Associare il termine democrazia a quello di libertà può essere sociologicamente accettabile, ma il problema è di far capire a chi legge e a chi ascolta in che cosa democrazia e libertà convergono e in che cosa, invece, divergono. Occorre cioè entrare nella coscienza della tesi, per esibire una sintesi che sia almeno accettabile per tutti, per i colti come per gli ignoranti. La democrazia è per sua natura una grande conquista di libertà, nasce infatti da mondi dominati da varie forme di assolutismo, di totalitarismo, di sottomissioni e di sopraffazioni, nasce quindi come necessità fisiologica di un sistema in cui i cittadini vogliono uscire da una vile condizione impositiva, per essere protagonisti della loro vita, compiendo gesti responsabili, attivando un rapporto di vigilanza interpersonale sulle cose da fare e da rispettare. Ci sono molte persone che scelgono la democrazia perché possono fare tutto quello che vogliono in barba alle leggi, leggi che con il passare del tempo perdono di consistenza giuridica, legale, sociale, etica e morale, lasciando immensi spazi aperti a chi dentro l’ambiguità sguazza come un pesce, sapendo di poterla sempre fare franca. La burocrazia, ad esempio, non ha proprio nulla di autenticamente democratico, ma è il modo più furbesco di complicare le cose per svuotarle della loro autenticità. I politici parlano molto spesso di burocrazia, perché sanno benissimo che è grazie alla burocrazia che possono continuare a mantenere in vita il potere personale e quello dei gruppi politici ai quali appartengono. Più uffici ci sono, più personale puoi assoldare, più le cose sono complicate e più possono essere confuse, depistate, date in pasto ai professionisti della complicazione. Una democrazia vera non ha bisogno di burocrazia o di troppo complicazioni, ha soprattutto bisogno di studio, formazione, convinzione, senso di responsabilità personale e collettivo, di poche regole certe da rispettare e da far rispettare. Quando una democrazia entra con troppa frequenza nelle aule dei tribunali, quando finisce troppo spesso nella rete della magistratura, dà prova di profonda immaturità e richiede quindi il bisogno di essere ripensata, riformata, rivisitata, ripulita, non dimenticando mai che lo stato democratico è frutto di un grande impegno educativo che c’è o non c’è. Se non c’è bisogna fare in modo che i responsabili facciano un serio esame di coscienza e si rendano conto se non sia il caso di ripartire dalle radici, là dove il sistema si forma e si attiva grazie alla famiglia, alla scuola, alla società civile e allo stato. È ripartendo dalle origini che il mondo può modificarsi in meglio, sviluppando una democrazia più leggera, più leggibile, più cosciente, più ferma e attenta nell’esecuzione delle consegne. Il problema delle libertà democratiche è di fondamentale importanza nella vita di uno stato costituzionalmente avanzato. Più è alta la consapevolezza e più è elevato il senso di responsabilità individuale e collettivo e più i cittadini diventano autonomi e capaci di realizzare sul campo i principi, i valori e le regole che governano dalla base la forza e la bellezza di un sistema democratico maturo. Per troppo tempo nel nostro paese si è dato per scontato che bastasse un acquisizione mnemonica dei codici di comportamento per definire e sanzionare definitivamente l’assunzione delle libertà democratiche. Si è sottovalutato il peso dell’azione educativa generale, si è ragionato in termini di presunzione piuttosto invece di fondare la formazione su una solida operosità etica e morale, sulla base di parabole ed esempi concreti, vissuti nella quotidianità di un sistema relazionale costantemente attivo, in tutte le sue dinamiche. Immaginare che la democrazia sia un bene statico, irremovibile, privo di una sua dinamicità è assolutamente assurdo, perché la democrazia cammina con le società, quindi con i cambiamenti e le innovazioni, cammina soprattutto con una capacità intellettiva che varia di continuo, soprattutto in rapporto al tipo di libertà che incontra e al tipo di rapporto che con questa stabilisce. In molta parte della popolazione manca il senso di una gestione individuale e collettiva della libertà, si vive la libertà come se fosse un bene innato, non soggetto ad evoluzione e privo di dinamismo innovativo. La libertà, in un sistema democratico, ha un valore grandissimo, che richiede un adeguato percorso educativo e si sa che l’educazione è un valore che va insegnato con entusiasmo, amore e passione, non dimenticando mai che si educa con il concorso di tutti, ogni cittadino porta con sé la sua dose di responsabilità educativa, ciascuno deve fare la propria parte e il risultato finale è il frutto di una allargata convivialità. In molti casi democrazia e sistema educativo non vanno d’accordo, perché le forze che interagiscono tendono sempre ad applicare leggi e regole che rispecchiano non tanto lo stato di necessità sociale, il valore collettivo di un bene, quanto la presunzione personale, adattando le regole a forme avanzate di egoismo. In molti casi il vero problema è: “Siamo sicuri che chi ambisce a governare il prossimo sappia prima governare se stesso?”. “Siamo sicuri che gli aspiranti alla ragion di stato sappiano di avere una ragione e di doverla usare per quel bene pubblico a cui si sono immolati?”. Il pericolo è che qualcuno pensi che sia sufficiente una laurea in legge o una in scienze politiche per governare sessantamilioni di persone e che fare l’onorevole o il senatore sia la sistemazione sicura della vita. Molti pensano che per fare il sindaco o l’assessore o il consigliere basti l’imprimatur della gente e sono ancora troppi coloro che si affidano alla copertura di un partito o di un movimento o di una lobby per poter entrare a pieno titolo nella democrazia umana, facendo credere a se stessi e agli altri di avere tutti i titoli per potersi sentire i padri della patria. La verità è un’altra, non basta la scienza per ambire alla riverenza, bisogna prima di tutto avere una struttura caratteriale adatta, una fortissima capacità mediatoria e una buonissima conoscenza dell’animo umano e delle sue necessità. Le necessità sono di vario ordine e di vario tipo, variano a seconda dei bisogni e delle necessità, bisogna che Democrazia, Costituzione e Libertà s’incontrino per stabilire un proficuo patto di alleanza, fondato soprattutto sulla conoscenza degli esseri umani e delle loro aspirazioni. Anche in questo caso un po’ di empatia non può fare altro che bene, per capire qualcosa di più della nostra misteriosissima natura umana. Che cos’è l’empatia? È la capacità di immedesimarsi nell’altro, nei suoi problemi, nelle sue necessità, nelle sue angosce, ma anche nelle sue aspirazioni, nella sua volontà, nella voglia di poter essere migliore, è un modo adatto per capire cosa c’è dall’altra parte, di che cosa hanno bisogno quei cittadini che in alcuni momenti della loro vita diventano prigionieri della malattia, della sofferenza, della povertà, della solitudine e della depressione. Oggi la nostra società è piena di queste persone, a volte sono invisibili, sono talmente invisibili che ci si dimentica facilmente di loro. In democrazia può anche capitare che a parlare di povertà siano i ricchi o di malattia quelli che traboccano di salute, basta osservare in televisione i nostri politici che inneggiano all’uguaglianza, ai bisogni del cittadino e che vorrebbero inondare le tasche degl’italiani di soldi nazionali ed europei, ma il problema vero resta: c’è chi guadagna troppo, chi troppo poco, chi pochissimo, chi niente e chi non ha un lavoro per tirare a campare, chi dorme sotto i ponti, chi bivacca nelle stazioni, chi nei parchi pubblici, chi avvelena il prossimo, chi compie atti di violenza, chi parla ma non fa il proprio dovere, tanto è vero che nella maggior parte dei casi i problemi restano quelli che sono, in tutta la loro democratica drammaticità. Forse è il caso che qualcuno cominci a porsi davvero il problema se questo tipo di democrazia aiuti davvero il nostro paese a crescere e a diventare migliore o se invece non ne accelera l’implosione. Forse è arrivato il momento di guardare in faccia il mondo con occhi diversi, evitando inutili e stupide smancerie, forse è arrivato il momento di risolvere i problemi con il massimo contributo di tutti coloro che ne sono materialmente responsabili.
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