Le voci si rincorrono dallo scorso anno, le finanze della Santa Sede sarebbero a rischio default. Che cosa c’è di vero? Le chiacchiere hanno cominciato a circolare dopo l’uscita del libro Giudizio Universale di Gianluigi Nuzzi nell’autunno del 2019 e se ne torna a parlare ora per l’emergenza sanitaria che ha provocato la chiusura delle chiese e l’azzeramento delle offerte. Niente collette domenicali, cancellati gli oboli per matrimoni, battesimi, comunioni e cresime, annullate le offerte per Pasqua. Tre mesi di chiusura pesano sulle casse delle parrocchie. Ci sono sacerdoti costretti a sospendere le rate dei mutui onerosi aperti per la ristrutturazione degli edifici sacri.
“Ci aspettano anni difficili ma non rischiamo il crac – reagisce padre Juan Antonio Guerrero Alves, da novembre prefetto della segreteria economica, in pratica il nuovo ministro dell’economia vaticana – Le proiezioni parlano di un calo delle entrate del 25% nell’ipotesi più ottimistica e del 45% nella più pessimistica. Tra il 2016 e il 2020 le entrate e le uscite sono state costanti, 270 milioni le prime, 320 le seconde. Le entrate derivano da contributi e donazioni, dal rendimento degli immobili, dalla gestione finanziaria e dalle attività degli enti. Un sostegno importante lo danno gli incassi dei musei che oggi sono chiusi e per i quali si prevede una ripresa lenta”.
“Le uscite – prosegue il prefetto – sono dovute per il 45% al personale, per un altro 45% alle spese generali e amministrative sostenute per mantenere le nunziature, le chiese orientali e quelle povere, per alimentare le missioni e promuovere l’informazione in 36 lingue (radio, tv, web, social, giornale, tipografia, casa editrice, sala stampa). Il 7,5% va in donazioni. Poi ci sono le spese per le cause dei santi, per la biblioteca vaticana, per gli archivi e la manutenzione degli edifici. Infine le tasse pagate allo Stato italiano ammontano a 17 milioni, l’Imu sugli immobili con finalità commerciali, la Tares e altre imposte che il Vaticano paga ai comuni di Roma e Castelgandolfo”.
Insomma il piatto piange. Il deficit, cioè la differenza fra le entrate e le uscite, oscilla tra 50 e 70 milioni. Ma l’emergenza coronavirus costringerà a rivedere i conti. Le offerte dell’Obolo, i contributi dalle diocesi e i canoni d’affitto subiranno riduzioni per le prevedibili difficoltà di pagare. Che fare allora? “Nessun taglio riguarderà la retribuzione dei lavoratori, gli aiuti alle persone in difficoltà e il sostegno alle chiese bisognose – assicura Guerrero – dovremo centralizzare gli investimenti finanziari, migliorare la gestione del personale e degli appalti. La fiducia si guadagna con il rigore e ammettendo con umiltà gli errori passati per non ripeterli”.
Secondo alcuni osservatori, il deficit vaticano avrebbe raggiunto livelli di allarme proprio per colpa del calo delle donazioni dovuto alla scarsa fiducia dei fedeli dopo gli scandali finanziari. C’è chi ricorda il presunto incauto acquisto dell’edificio da 200 milioni in Sloane Avenue a Londra da parte della Segreteria di Stato con i fondi dell’Obolo di S. Pietro. Ma si è parlato anche di gestione clientelare e senza regole, di conti cifrati e contabilità parallele. Altri accennano invece al costante sabotaggio dell’azione del papa che, da parte sua, fa il possibile per rinnovare i quadri, mettere sotto controllo i conti, avviare la necessaria spending review e promuovere la trasparenza.
Di recente ha cambiato i vertici dell’Aif, l’autorità di informazione finanziaria e antiriciclaggio vaticana, riammessa in gennaio nel circuito internazionale Egmont da cui era stata sospesa a novembre per l’indagine interna. Si tratta del presidente Carmelo Barbagallo, già supervisor della Banca d’Italia e del direttore Giuseppe Schlitzer, responsabile di incarichi in Bankitalia e FMI e docente di finanza internazionale alla Liuc di Castellanza. Schlitzer ha preso il posto di Tommaso Di Ruzza che aveva concluso il suo mandato quinquennale ma era sospeso da ottobre (con altri quattro dipendenti) nell’ambito dell’inchiesta tuttora in corso sull’affaire londinese.
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