Il prossimo 7 giugno ricorre il cinquantesimo anniversario delle prime elezioni regionali, ma a quanto pare, le iniziative per ricordare degnamente la ricorrenza scarseggiano o sono inesistenti.
Una “dimenticanza” solo in parte giustificata dalla grave emergenza in cui siamo immersi e che suscita, nella mente di tutti, ben altre preoccupazioni. Conta di più il pessimo rapporto che si è instaurato nel rapporto tra Regioni e Stato centrale. Una conflittualità da crescendo rossiniano, cominciata subito dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) e mai più cessata. Negli ultimi mesi anche i più digiuni di questioni istituzionali hanno avuto una prova tangibile di quanto lo scontro si sia fatto acuto e pericoloso.
Anziché impegnare tutte le energie in uno sforzo comune e concentrico al fine di fronteggiare adeguatamente la pandemia e mettere al centro di tutto l’interesse generale si è preferito imboccare la strada dei distinguo e della contrapposizione. Le Regioni, o meglio i loro Presidenti o gran parte di loro, hanno ingaggiato con il Governo un logorante braccio di ferro che ha contribuito non poco ad alimentare tra i cittadini confusione, timori e paure. Hanno deliberatamente politicizzato lo scontro cercando visibilità ad ogni costo e per fini di parte. Anche la rivendicazione di libertà decisionale o piena autonomia è apparsa più funzionale a calcoli politici che non alla reale esigenza di tutelare l’interesse generale. Abbiamo assistito a prove tecniche di separatismo mascherate da presunte superiorità operative e gestionali.
La ricorrenza del cinquantennale potrebbe essere una buona occasione per avviare una riflessione sull’ordinamento dello Stato e l’incombente pericolo di un progressivo svuotamento delle nostre istituzioni. La stucchevole contrapposizione tra centralisti e autonomisti mostra ormai la corda, non porta da nessuna parte e serve solo a confondere le acque. Al punto da far diventare credibile persino chi invoca i pieni poteri e, contemporaneamente, si spaccia per vero autonomista.
Ma le Regioni, così come i comuni e le Province, non sono nate per frazionare, dividere, disarticolare lo Stato. Il loro ruolo, contrariamente a ciò che sostengono localisti e separatisti di ogni genere, è esattamente l’opposto cioè quello di concorrere unitariamente e solidarmente al governo del Paese, nel rispetto dei principi e dei limiti posti dalla Costituzione. Solo così può affermarsi pienamente la sovranità popolare e la partecipazione democratica ad ogni livello. Ovviamente ciascuno opera e decide in ambiti specifici, ma nessuno può confondere il pluralismo e le specificità dei ruoli con il separatismo. L’idea che ciascuno possa decidere a casa propria prescindendo dagli altri o che l’unico scopo perseguibile sia la soddisfazione e la massimizzazione dei propri interessi particolari, siano essi territoriali, di gruppo o personali, rappresenta la negazione dei principi costituzionali.
Sul modo di intendere il ruolo delle autonomie e, in particolare, dei poteri da attribuire alle Regioni il dibattito non è mai stato facile. Nella stessa fase costituente si confrontarono posizioni diverse, alcune persino contrapposte. Forti erano ancora le resistenze conservatrici dei nostalgici dello stato centralista e molti quelli che avevano solo cambiato casacca. Non a caso la Costituzione è rimasta a lungo in gran parte inattuata. Per la nascita delle Regioni ordinarie si è dovuto aspettare vent’anni. Infatti è solo con l’approvazione della Legge elettorale n° 108 del 17 febbraio 1968 che prende avvio la fase che porterà alla nascita delle Regioni. Le prime elezioni si svolgeranno poi il 7 giugno 1970.
Dopo vent’anni di rinvii e tentativi di insabbiamento le Regioni nascono in un clima di grande fervore democratico e volontà rinnovatrice. Una stagione segnata dalle lotte operaie e studentesche le cui rivendicazioni oltre a mettere in discussione i vecchi assetti economici e sociali produrranno ben presto mutamenti profondi anche negli equilibri politici e di potere. Nello stesso anno, qualche settimana prima delle elezioni regionali, il 20 maggio, viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 300, il cui titolo riassume al meglio la sua portata: “Norme sulla tutela e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”. Legge meglio nota come “Statuto dei lavoratori”. Una delle “carte” più avanzate al mondo in tema di diritti del lavoro e che, ancora oggi, nonostante gli attacchi e le modifiche subite, rappresenta un punto di riferimento ineludibile.
Due fatti importanti, apparentemente diversi, entrambi però emblematici di una stagione nuova che stava aprendosi nella vita nazionale. Per ostacolare e fermare quella spinta popolare e di massa verrà impiegato ogni mezzo. Già l’anno prima di questi cambiamenti erano stati compiuti numerosi attentati dinamitardi che per frequenza, modalità e obiettivi colpiti, facevano pensare ad una unica regia. La drammatica conferma si ebbe poi il 12 dicembre del 1969 quando una bomba piazzata dentro la Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano provocò 16 morti e 86 feriti. Cominciò così la strategia della tensione per opera di fascisti e servizi “deviati” (!) e, parallelamente con obiettivi opposti, l’azione terroristica delle Brigate Rosse e dei loro epigoni. Una scia di sangue e di terrore che per oltre un decennio metterà a dura prova la tenuta della società civile e delle istituzioni della nostra Repubblica.
Le stesse Regioni non hanno avuto vita facile. Tra il 1970 e il 1972 i governi in carica Colombo e Andreotti) reagirono alla spinta regionalista con provvedimenti (vedi in particolare il Dpr 15 gennaio 1972 n° 7) che limitavano poteri e mezzi economici delle Regioni a Statuto ordinario. Per ottenere un pieno riconoscimento del ruolo delle regioni ed anche dei Comuni bisognerà aspettare il 1975 quando, dopo la grande avanzata del PCI, si determineranno nuovi equilibri politici che consentiranno un cambiamento di rotta. Infatti è con la Legge n° 382 del 22 luglio 1975 e successivamente con i Dpr 616 – 617 – 618 che le Regioni e il sistema delle autonomie locali potranno contare su più ampie competenze e poteri, oltre che su risorse più certe.
Della campagna elettorale del 1970 e dei risultati parlerò nel prossimo articolo.
You must be logged in to post a comment Login