“Non credo che il fato colpisca gli uomini qualunque cosa facciano, ma credo che il fato li colpisca a meno che essi non facciano qualcosa” (Gilbert Keith Chesterton).
Si dirada finalmente la diffusione dei bollettini sanitari, mediante i quali abbiamo valutato e commentato il periodo che stiamo vivendo, ed alcuni filosofi e sociologi iniziano a riflettere sui collegamenti tra la patologia virale ed una più ancor più pericolosa e diffusa patologia antropologica, di cui sarebbe opportuno e salutare prendere coscienza. Penso al filosofo P. Becchi che afferma che “oggi si muore, per paura di morire” (Libero quotidiano),o a Giorgio Ricolfi che sulla Hume Page ha scritto che “ci tengono chiusi in casa perché non sono capaci di gestire l’epidemia”. Penso soprattutto a G. Agamben che magistralmente così ha descritto la situazione attuale: “Gli Italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, perfino le amicizie, gli affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi. La nuda vita, e la paura di perderla, non è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e separa” (www.quodlibet.it). I sintomi della patologia virale sono stati illustrati, spiegati, enfatizzati anche mediante una sorta di terrorismo mediatico; adesso è venuto il tempo di iniziare ad analizzare alcuni fenomeni ed i gravi sintomi della patologia antropologica dell’uomo moderno, già in essere da tempo, ma amplificata dalla sospensione di tutte le attività sociali.
Già Aristotele affermava che l’uomo è un animale sociale, e gli studi funzionali e per immagini delle moderne neuroscienze hanno dimostrato che il cervello dell’uomo è un cervello sociale, e noi siamo “per natura esseri altamente sociali e più di ogni altra specie dipendiamo l’uno dall’altro per la compagnia e la sopravvivenza”. Sappiamo inoltre che “la deprivazione sensoriale o sociale precoce può compromettere la struttura del cervello. Analogamente abbiamo bisogno di una interazione sociale per mantenere in buona salute il cervello in età avanzata” (Eric K. Kandel, La mente alterata.2018). Ognuno di noi esente da patologie psichiatriche, facente parte dei cosiddetti neurotipici, ha una “teoria della mente” (Premack D, Woodruff G.1978), cioè ha la capacità di leggere i propri stati mentali e quelli degli altri, in modo da sviluppare un apprendimento ed una interazione, attraverso un’azione biologica (sguardo, movimento) collocata nel contesto in cui avviene.
È lecito chiedersi allora che conseguenze abbia avuto sui nostri stati mentali la lunga deprivazione delle interazioni sociali cui siamo stati sottoposti, unica nella storia, sia in tempi di pace, che forse anche di guerra; su di noi chiusi nelle nostre abitazioni, isolati nella malattia ed anche nella morte, costretti ad interagire con il mondo attraverso la surroga e la simulazione della tecnologia, perfino nel campo dell’istruzione e della cultura, con gravi ripercussioni sui giovani; con l’incertezza del futuro, privati finanche delle celebrazioni religiose, così confortanti nelle sventure. Il nostro tessuto sociale è lacerato in tutte le sue fibre e strutture e tutto è stato giustificato in nome di un’emergenza sanitaria, sulla quale gli esperti tecnocrati, ai quali è stata demandata la gestione della crisi, sono apparsi divisi su tutto. Può essere l’emergenza sanitaria vista come un’opportunità concreta di miglioramento dell’uomo e dell’essenza della vita, o è stata usata soltanto per imporre misure politiche ed economiche eccezionale e stravolgenti, altrimenti inaccettabili?
Ogni interruzione traumatica della quotidianità del nostro vivere comporta uno choc personale, che diventa sociale e culturale, quando la sospensione della vita coinvolge tutto e tutti indistintamente. Una tale deprivazione emotiva, affettiva e sociale, se da un lato comporta senso di caos e di smarrimento, dall’altro traghetta inesorabilmente l’uomo nel luogo dell’esperienza del sé, dove si può avere l’opportunità di riscoprire la propria anima, che abita nel mondo.
La guarigione dal male fisico risulta essere così indissolubilmente intrecciata con la guarigione dal male spirituale e sociale, intesa cioè come processo di vita che si concretizza attraverso una sintesi armonica tra la narrazione biologica, tecnico-scientifica, religiosa e filosofica, abbattendo le barriere del recinto soffocante in cui, alienati, abbiamo rinchiuso la nostra vicenda terrena, per aver rimosso tutto ciò che è trascendente e tutto ciò che si proietta oltre l’orizzonte limitato del qui ed ora, oltre le generazioni.
“La nostra salvezza è più vicina ora…… la notte è avanzata, il giorno vicino” (Paolo, Lettera ai Romani; 13,11)
“Al momento favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza” (Paolo, 2 Corinti; 6,2).
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