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C’è nell’infanzia di ogni individuo il lontano ricordo di un giardino da cui non si vorrebbe uscire, poiché varcare i suoi confini rassicuranti vuole dire diventare dolorosamente adulti. In questi giorni di lungo confinamento chiamato col nome inglese di “lockdown”, come se non esistessero altri corrispettivi italiani per definirlo, il giardino (per chi ha la fortuna di averne uno) ha rappresentato una vera salvezza per i bambini che hanno potuto comunque giocare all’aperto; per gli adulti, specie per gli anziani che hanno potuto dedicarsi alla cura di un orto o a coltivare aiuole.
È il caso di dire che il giardino salva la vita. Nel mio caso, guarisce dalla solitudine, poiché come è stato scritto, in giardino non si è mai soli, con i colori dei suoi fiori che allietano lo sguardo, con gli insetti come le farfalle, le coccinelle e i maggiolini, col canto degli uccelli. Con i suoi profumi che inebriano quei sensi che al di fuori dal suo cancello, nascondiamo sotto la mascherina.
Il giardino di marzo di questo bisesto-funesto 2020, me lo ricorderò sempre come il mese dei narcisi bianchi e gialli, dei giacinti dalle fragranze così intense, delle primule che tappezzano qua e là il prato verde. Aprile è meno crudele con il suo bel ciliegio in fiore le cui candide brocche toccano quasi i vetri della finestra della mia camera. Poi ci sono i biancospini, le serenelle dal profumo così delicato, gli iris viola, bianchi e gialli e le azalee. Un tripudio che è servito in parte, a lenire la malinconia di un anomalo periodo pasquale senza la settimana santa. Una Pasqua all’insegna di un crudele “distaccamento parentale” e in fondo, anche religioso; della mancata convivialità.
E ora finalmente maggio, il mese delle rose e dei gelsomini, dei candidi fiori d’angelo (i filadelfi), dei sontuosi rododendri che accompagnano la nostra graduale ripresa e ritrovata libertà. O forse ancora semi-libertà, ma è già qualcosa.
La cognizione del dolore e l’esodo verso un mondo che avrebbe riservato all’uomo un’esistenza di fatica e alla donna le doglie del parto, inizia con la cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva. Ma la mitologia e ontologia del giardino ha radici ancor più lontane nel tempo. I Campi Elisi degli antichi Greci, contrapposti al Tartaro, rappresentano il luogo ideale nel quale vivere beati senza affanno. Nel Giardino delle Esperidi le ninfe dormono pigramente sotto l’albero di melo i cui frutti, sono d’oro come nelle fiabe.
Più di recente, è con il Cristianesimo che sboccia la grande metafora per cui l’anima umana è un giardino, soggetto a intima cura da parte di Dio. Molti sono i poeti e gli scrittori con il culto del giardino, che ben si sposa con le “humanae litterae”.
Goethe piantò, seminò e realizzò giardini e parchi, e realizzandoli li visse poeticamente nel profondo del suo cuore. Ci offre la sua testimonianza di esperto agrimensore proprio nel suo romanzo “Le affinità elettive”.
Il poeta Robert Browining e sua moglie Elizabeth Barrett selezionarono bulbi di stupendi narcisi e giacinti, che prendono a tutt’oggi il loro nome.
Hermann Hesse ha scritto un trattatello dal titolo “In giardino” e la sua casa di Montagnola era un vero paradisetto vegetale sul lago, da lui personalmente curato.
Friedrich Schiller fu il teorico del giardinaggio come arte che chiamò “educazione estetica che dà libertà per mezzo della libertà”.
È interessante a questo proposito la tesi di Rosario Assunto (il primo filosofo estetologo che ha approfondito nella nostra epoca le tematiche del giardino) e il concetto di “libertà libertaria” da lui avversato. A proposito di ciò scrisse “la libertà libertaria pretende chi vuole siano i frequentatori di giardini autorizzati a comportarsi come loro aggrada, senza riguardo per gli altri: perché la libertà libertaria apre la strada al totalitarismo, conducendo essa alla sopraffazione, nel migliore caso, dei più numerosi o più forti nei confronti delle minoranza…” (da”Ontologia e teleologia del Giardino”).
Ecco perché il parco aperto a chiunque e senza alcun discernimento circa orari né sorveglianza finisce per essere area di bivacco, con aiuole calpestate, cartacce, lattine, siringhe ecc. e si colloca oggettivamente “lontano dal giardino”. Ed ecco perché nel nostro paese, ricco di giardini e ville, prevale sempre più l’idea dei fondi-ambiente sullo stile del National Trust britannico, con un ingresso a pagamento per la manutenzione degli stessi.
E a proposito di National Trust, a Sissinghurst, nel cuore del Kent è possibile visitare “il giardino bianco” di Vita Sackville-West. La torre del Castello di Sissinghurst divenne lo studio della scrittrice, amica di Virginia Wolf, mentre il White Garden, inaugurato secondo la moda monocromatica da molti imitata, divenne mèta di memorabili garden party (Da Winston Churchill alla regina Madre; ai poeti Auden, Yeats e Ivy Compton-Burnett).
Incuranti dei bombardamenti della II Guerra mondiale, Vita e il marito Harold intensificarono le architetture del giardino; si procedette ad alberare il viale dei Tigli, le rose antiche e rampicanti (rigorosamente bianche) vennero usate come elementi ornamentali ai piedi degli alberi da frutta (meli, mandorli, ciliegi). Come bianchi furono gli asfodeli, i gladioli, i gigli, i biancospini e i filadelfi.
Il Castello con il torrione e il “white garden” continuano a essere mèta di numerosi visitatori.
E il nostro paese? A Ravello ci sono incantevoli ville e giardini prospicienti il mare da alti dirupi (Villa Cimbrone, Villa Rufolo, Villa Sangro) che furono già pellegrinaggi e mète di artisti (Wagner, Toscanini, Verdi), principi, aristocratici e personalità del modo politico e del cinema.
Le ville della Lucchesia, invece, non godono della manutenzione che dovrebbero. Poi ci sono le ville venete sul Brenta che sono curatissime, e i giardini e parchi del Lago Maggiore, tra cui il giardino botanico dell’Isola Bella, proprietà dei Borromeo.
Manca però in Italia una vera cultura del giardino come nei paesi nordici (in particolare tedeschi e anglosassoni). Ma anche figure professionali (presenti nella vicina Svizzera) come l’architetto dei giardini, a metà strada tra l’architetto e l’agronomo.
Il giardino fu rifugio degli ordini monastici durante le invasioni barbariche (hortus conclusus medievale). L’hortus conclusus è il giardino segreto e fantastico all’interno del chiostro che offre riparo e confina il male al di fuori delle sua mura di cinta. Bernardo di Chiaravalle commentando il Cantico dei Cantici descrive il giardino come un continuo gioco tra amante e amato, tra creatura e creatore.
Il romanzo “Candide” di Voltaire si conclude coi due protagonisti (Candido e Pangloss) che di fronte al caos del mondo, ai massacri, alle varie peripezie subite e alle guerre civili, concludono con ” noi bisogna che lavoriamo il nostro orto”. Dobbiamo essere grati anche di questi tempi, ai giardini e orti quali luoghi ameni che ci hanno in parte distolto dalle sciagure del pianeta.
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