“Andrà tutto bene”. Mi sa che è più appropriato un punto di domanda finale, preceduto da una congiunzione avversativa: ma andrà tutto bene?
I cartelli preparati dai bambini del mio condominio all’inizio della pandemia stanno sempre lì, nell’atrio, con le loro lettere cubitali colorate e l’arcobaleno della pace e provano a consolare gli inquilini: andrà tutto bene.
È pur vero che sono stati preparati nei primi giorni del lock down, quando ancora ci si illudeva che le restrizioni sarebbero durate poco. Ma mi capita, adesso come allora, di abbassare lo sguardo passandoci accanto.
Non mi offrono consolazione, quelle parole. In questi due mesi ho, abbiamo visto troppi morti, contato troppi contagiati, letto troppe dolorose testimonianze di guariti.
Abbiamo trascorso giornate uguali, settimane private di domeniche e di giorni feriali, pomeriggi scanditi dalle comunicazioni di bollettini portatori di dati che mostravano una spaventosa salita verso l’atteso picco che latitava.
Ho provato irritazione per l’hashtag “andrà tutto bene”, retoricamente ottimistico; dalle vetrine spoglie dei pochi negozi aperti, dai balconi e dalle reti di cinta di tante case mi ripeteva che sarebbe andato tutto bene.
Chissà quale filosofia consolatoria, stile new age, sostiene questo hashtag.
Sul piano psicologico il contenuto mi sembra fallimentare. Dire a chi prova panico che può stare tranquillo perché andrà tutto bene, nel momento in cui stanno succedendo eventi terribili, potrebbe provocare l’effetto opposto.
Da cultrice di telefilm polizieschi americani, confermo che non passa puntata in cui il poliziotto buono non dica al ferito grave, al moribondo, o al bambino da pochi minuti orfano del genitore ucciso dai killer: “Tranquillo, andrà tutto bene”.
Dovremmo fideisticamente crederci: che torneremo alla normalità, che il mondo dopo questa crisi sarà un posto migliore. Mentre temiamo che il mondo “dopo” continuerà ad andare avanti come sempre; che ci toccherà assistere alle medesime ingiustizie del passato.
Andrà tutto bene: ma chi ha confezionato questo mantra?
Mi informo. Ci arriva da Giuliana di Norwich, una mistica cristiana inglese del 1400, che all’età di trent’anni si ammalò gravemente; mentre era, o si sentiva in punto di morte, ebbe una serie di intense visioni di Gesù Cristo, che scomparvero il giorno in cui guarì dalla sua malattia.
Durante una visione Gesù, riferendosi alla peste che infuriava in quel periodo le aveva detto: “É una prova incredibilmente difficile ma alla fine tutto andrà bene”.
Voglio provare a rimediare al mio pessimismo. Mi rendo conto che per tante persone questa frase è di aiuto e di conforto: è un invito a non perdersi d’animo di fronte all’incertezza di quel che sarà, un richiamo al valore della speranza che non ci dovrebbe abbandonare mai.
“Andrà tutto bene” è uno slogan che può funzionare. Come ben sanno poeti e cantanti, soprattutto questi ultimi.
Sta nei testi delle canzoni di mostri sacri come John Lennon: “Alla fine andrà tutto bene, e se non andrà bene, non è la fine”.
Max Pezzali canta: “Andrà tutto bene, non può succedere niente di male mai a due come noi”.
Un certo Nesli, fratello minore del famoso rapper Fabri Fibra, rapper pure lui, così cantilena: “Volevo dirti che se ci credi in fondo andrà tutto bene… Se ti dico che alla fine ne usciremo insieme, anche al costo di dover lottare… è perché lo sento”.
La cantante Claudia Lagona, 32 anni, in arte Levante, sospira: “Tienimi stretta in un abbraccio / non ho paura se ci andiamo insieme / del domani mi ripeti che / andrà tutto bene…”.
Controcorrente va Vincenzo Pignetti, solo tredici anni, all’attivo cinque pubblicazioni e due premi letterari, scrive: “… per cui “andrà tutto bene” in realtà non è altro / che una menzogna perché / bene non andava quasi mai / E tu / provavi a darmi tutto quello che potevi / ma non capivi che a me bastava e avanzava / il tuo amore”.
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