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Società

GIOCARE CON I SANTI

RENATA BALLERIO - 08/05/2020

caterinaLascia stare i Santi… forse questo imperativo è stato preso troppo alla lettera, se si esce dall’ambito della fede individuale o collettiva. Conoscere la storia umana, a volte umanissima di certi santi, può, invece, servire non tanto a capire anche il nostro presente quanto ad alimentarci della forza del loro pensiero. In fondo che cosa è mai la cultura se non la coraggiosa sfida ad andare oltre i luoghi comuni, oltre le rassicuranti certezze per essere, invece, autenticamente presenti nel mondo?

Ad esempio ricordare, anche in prospettiva della giornata europea del 9 maggio, Santa Caterina da Siena, compatrona dell’Europa non è solo un omaggio rituale, quasi scontato, ma la ricerca di legami profondi e uno stimolo, anzi un impegno, definiamolo pure laico, ad avere un approccio diverso alla realtà. Il 29 aprile, giorno in cui la Chiesa la festeggia, il Papa ha invocato la protezione di santa Caterina per l’unità europea.

Certamente nel 1999 fu proclamata compatrona dell’Europa perché “testimone di un grande messaggio di speranza, di riconciliazione, di unità ecumenica tra le Chiese e i cristiani”, mentre ora si chiede una unità più ampia. Unità che, nonostante il motto dell’Unione Europea “Uniti nella diversità”, reso ufficiale soltanto dal 2000, sembra ancora un’utopia.

Ma perché invocare per l’unità europea questa santa, ansietata, come si definì, che, quasi analfabeta, fu la prima donna ad essere proclamata da Paolo VI dottore della Chiesa il 3 ottobre 1970? Santa Caterina, morta a soli trentatré anni, conobbe le tragedie umane, come la peste bubbonica che colpì anche Siena nel 1374, instancabilmente chiese di riformare la Chiesa, che viveva in modo sfarzoso la cattività avignonese, e implorava la pace, indirizzando circa 380 lettere da lei dettate al Papa, ai cardinali, ai potenti e alle persone più semplici. Pur tralasciando il valore del suo stile che – come sintetizzò il critico Giovanni Getto – ha un accento intellettuale e sentimentale eminentemente aristocratico, rimane per credenti e non un esempio di durezza di giudizio e, al contempo, di apertura di cuore. “Avete taciuto abbastanza. È ora di finirla di stare zitti! Gridate con centomila lingue. Io vedo che a forza di silenzio il mondo è marcito”. È anacronistico questo suo grido, limpido ma energico, per il nostro attuale frastornante ed emotivamente manipolatore vociare politico, spesso più scandaloso di un silenzio? Se, in fondo, è giusto lasciar stare i santi, non possiamo neppure giocare con i fanti. E fuori di metafora possiamo dire che mai come questo 9 maggio, settant’anni dopo la dichiarazione di Robert Schuman, allora ministro degli esteri francesi, dobbiamo augurarci che quel sogno dei pionieri del 1950, quasi coraggiosi fanti, non finisca.

A pensarci bene il coronavirus ha fatto più riflettere sull’ Europa che in altre occasioni. Ma forse è anche ora di chiederci se non sia giunto il momento di pensare ad una vera Europa federale, democratica e solidale. Non un’unione di Stati, cioè una Europa governativa, ma una unità di visione. E magari ricordarci che la bandiera a stelle è – come si legge nei documenti – il “frutto dell’idea del designer cattolico francese Arsène Heitz, vincitore del concorso europeo bandito a Strasburgo nel 1955, che nutriva una speciale venerazione per la Madonna e che impressionò favorevolmente la commissione giudicatrice presieduta da un belga di religione ebraica”.

Ma soprattutto ricordare che quel cerchio in campo azzurro rappresenta l’unità.

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