-Caro Mauro, quella volta che…
“Caro Massimo, quella volta che Bruno Vespa mi diede del matto”
-Dietro le quinte o in diretta tivù?
“Dietro le quinte di ‘Porta a porta’, ribalta alla quale cominciò a chiamarmi nel 2000, a motivo della mia conoscenza sulle elezioni negli Stati Uniti”.
-Matto perché?
“Precisamente: matto americano. Perché non solo sapevo raccontargli ogni dettaglio del passato, ma riuscivo anche a predirgli il futuro”.
-Un esempio?
“Gli dissi, una volta: nota chi ha prevalso nella raccolta di consenso in due contee, che ora ti indico. Sarà il nuovo presidente. Finì proprio così. E Vespa coniò quella bizzarra immagine”.
-Lui bizzarro non è…
“È un super professionista. Preparato nella materia, attento a maneggiarla, puntuale nel chiederti conto di questo o di quello. Sa di cosa parla. Sa di cosa puoi parlare tu. Un fuoriclasse. Senza contare…”
-Senza contare…
“Il garbo, la gentilezza, l’arte di saper mettere a suo agio l’ospite. Guarda che non è da tutti”.
-Forse di pochi…
“Ecco, di pochi. Uno alla Vespa è Michele Fazioli, anchorman della Televisione della Svizzera italiana. Il programma che ha condotto per vent’anni, Controluce, va preso a modello. Argomenti trattati con ricchezza di contenuto e cura della forma”.
-Da loro un Fazioli, da noi alcuni faziosi…
“Molto giornalismo non rinunzia alla vocazione partigiana. Un po’ per convinzione che sia necessaria al ruolo, un po’ perché dell’idea che solo così si fa audience. Invece no”.
-Cioè?
“L’audience duratura, e non il colpo di teatro, la conquisti se offri un prodotto di qualità”.
-Vespa star del giornalismo televisivo. Poi?
“La fila dei bravi non è corta. Penso, che so, ad Antonio Di Bella”.
-Affinità di cose americane, visto che ha fatto il corrispondente della Rai da New York?
“Forse sì. Ma forse anche no. Affinità nel metodo d’affrontare le questioni. Lui è uno che non lascia nulla al caso. Pur essendo spesso chiamato a gestire casi nati dal nulla”.
-Ovvero?
“Eventi imprevisti che richiedono di mandare in onda lunghe dirette. Lì solo uno di classe sa dare il meglio. Antonio ce l’ha, la classe. In più, regala simpatia con naturalezza. Ed è un divertente battutista”.
-Una citazione?
“Una volta mi disse: sono l’unico comunista che piace a Berlusconi”.
-Motivo?
“Berlusconi era amico di suo padre Franco, giornalista straordinario, a suo tempo direttore del Corriere della Sera”.
-Anche Enrico Mentana, a proposito di dirette, non scherza in maestria…
“Uno stakanovista inesauribile. Anche nella normalità. Tipo: il tigì di La7 se lo confeziona notizia per notizia. Nel senso: ha una squadra che lavora per lui, ma lui fa la squadra in ogni istante. Verifica, rammenda, istruisce, corregge. Non sta in video solo la mezz’ora del notiziario. Si può dire che ci stia l’intero giorno. Per non parlare, appunto, delle dirette su fatti eccezionali”.
-Ha fatto il record di presenze in un tuo ‘Salotto’ allo Zamberletti…
“La gente rimase fuori, sotto i portici di corso Matteotti”
-Sa cogliere i gusti del pubblico, ma anche guidarli…
“Nel guidarli lo avvantaggia una prerogativa”.
-Quale?
“Non doversi preoccupare di un’altra importante guida. Quella dell’auto”.
-Mai stato al volante?
“Mai. Come non pochi del suo mestiere. Del suo ambiente. Tipo Antonio Ricci, autore storico di ‘Striscia la notizia’. Un idem refrattario alla patente”.
-Oggi il giornalismo televisivo spesso è apparentato a quello su carta. Firme celebri che diventano opinionisti da schermo. Funziona?
“Funziona se hai da dire qualcosa d’interessante, così come hai da scriverlo. E certamente paga la chiarezza d’idee. Condivisibili o meno”.
-Un caso?
“Quello di Marco Travaglio. Scambiato per uomo di sinistra, ha una cultura politica di destra. Funziona perché è un integralista del giudizio. Convinto di ciò che pensa, è risoluto nel dirlo. Viene dalla scuola montanelliana, crede nei valori d’un liberalismo che certo non ha incarnato la destra degli ultimi trent’anni. Ma neppure la sinistra. Fece bene il mio caro amico Antonio Padellaro, quando fondò il ‘Fatto quotidiano’, a prendersi Travaglio come vice ed editorialista di punta. In una fase di crisi acuta dei giornali, loro ne fecero uno di successo. Pur se di nicchia. Ma che nicchia”.
-Lo dici perché la nicchia è la tua culla…
“Spiegami l’oscurantismo”.
-Hai incrociato il successo giornalistico in un quotidiano-boutique, il ‘Foglio’…
“Boutique, ovvero?”
-Poche e scelte cose…
“Convengo: il ‘Foglio’ era ed è questo”.
-Raccontiamo il tuo esordio. Anno 1996, mi pare…
“Ti pare giusto. Dunque, a gennaio esce il nuovo giornale di Giuliano Ferrara e io lo prendo ogni mattina. Durerà poco, penso, e quindi avvio la collezione. Mi piacciono ‘ste cose. Invece c’è ancora, il ‘Foglio’, onore a chi gli sa dare continuità. Io agl’inizi contribuii a dargli lettere”.
-Pubblicate?
“Sì, spesso. Allora mandavo via fax. Naturalmente vicende americane al centro di molte obiezioni. Poi succede il caso che mi trasforma da lettore in collaboratore”.
-Analizziamolo…
“Quell’estate vado a Praia a Mare con mia moglie, ci sto a lungo. Lì non vendono il ‘Foglio’. Ne recupero le copie al rientro a Varese, scopro che non sono state pubblicate molte lettere, ne invio una di fuoco, protestando. Concludo citando Oscar Wilde: l’ignoranza della stampa ci tiene a contatto con l’ignoranza dell’umanità”.
-La lettera esce?
“Esce con postilla del direttore. Ma io lo so in ritardo. Me la anticipa una telefonata di Vittore Frattini, amico artista. ‘Cosa risponderai a quel che ha scritto Ferrara?’ mi chiede”.
-Che cosa aveva scritto?
“Mi aveva proposto di tenere una rubrica per lui”.
-Detto e fatto…
“Chiamai, come da indicazioni, il caporedattore Ubaldo Casotto. Fu lui a rivelarmi che la rubrica si sarebbe intitolata Pignolerie. A firma Gran Pignolo”.
-Pronti via quando?
“Settembre del citato ’96. Andammo avanti per tredici anni. Seguii Ferrara anche a Panorama, quando vi si insediò al vertice. Facevo le pulci a quelli dell’Espresso”.
-Un diretto dopo l’altro…
“È il treno della mia vita. Lo è sempre stato”.
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