La terribile esperienza di questi mesi, di cui non conosciamo la fine, ci obbliga a riconsiderare fin da ora i significati e il ruolo dell’organizzazione urbana.
Varese dopo la sua elevazione a capoluogo di provincia negli anni ’20 del secolo scorso, dopo l’aggregazione dei Comuni vicini, aveva avviato negli anni ’50 un’edificazione diffusa spesso incurante della storia e della delicatezza dei luoghi.
Ma la pandemia che stiamo attraversando ci ricorda oggi che la città è il luogo delle relazioni umane e che vanno rimosse le difficoltà e gli impedimenti che le rendono precarie.
Abbiamo finora organizzato la città con prevalente attenzione per la circolazione dei veicoli, assicurando loro nelle zone abitate velocità che ogni giorno si rivelano sempre più pericolose per la pedonalità e la ciclabilità.
Questo non significa preferire ovunque la lentezza contro la velocità, che comunque deve essere sempre moderata. Significa che la presenza lungo i percorsi urbani di veicoli, persone e ciclisti impongono garanzie e maggiori sicurezze per questi ultimi.
Gli anziani sono in particolare al centro della nostra attenzione, per la loro condizione oggi.
Il virus l’ha messa in evidenza. La città li trascura, la quotidianità rende difficile la loro vita.
La loro esperienza rischia di essere perduta senza la possibilità di offrirla alle nuove generazioni.
Molti anziani non utilizzano più l’automobile. Per loro i supermercati sono spesso irraggiungibili anche per la frammentarietà delle linee degli autobus urbani e per la loro problematica accessibilità.
Occorre allora assicurare la permanenza o l’istituzione dei cosiddetti negozi di vicinato che anche l’Amministrazione pubblica deve, ove occorra, sostenere.
Occorre dotare ogni nucleo storico, e le nuove necessarie articolazioni urbane da creare nell’abitato più recente, di luoghi di incontro, di biblioteche, di sale di lettura di libri e quotidiani. Di spazi attrezzati per il gioco dei bambini. Anche la nostra storia può offrirci delle nuove possibilità.
Per considerare il recupero del Castello di Belforte non solo come importante conservazione e rispetto di un passato secolare, ma per il ruolo sociale, oggi assente nel viale, che può assumere con il vicino Centro parrocchiale.
Tutta l’area attraversata dal viale Belforte avrebbe finalmente un riferimento forte di vita comune.
La sua riorganizzazione dovrebbe considerare anche l’ampia area, tuttora trascurata, compresa fra l’ex ‘macello’ il torrente Vellone e le ferrovie, in adiacenza all’attuale piazzale Kennedy, tra le vie Bainsizza, Grado, Monte Santo. Al suo interno sono presenti diverse strutture industriali e abitative abbandonate o decadenti.
Il Piano di Governo del Territorio (PGT) di Varese considera questa area come ‘area di trasformazione’. Alcuni mesi fa ho proposto questa area come la più opportuna per localizzare il nuovo mercato all’aperto, in vicinanza mantenuta alle stazioni ferroviarie e al principale punto di arrivo e partenza di molte linee di autobus.
Alcuni edifici potrebbero ospitare al coperto anche alcune parti del mercato. Le proprietà presenti potrebbero essere coinvolte, con evidente vantaggio pubblico/privato, utilizzando le disposizioni perequative e compensative previste dal PGT. Questa scelta favorirebbe la frequentazione del mercato, molto meglio rispetto alla destinazione programmata in piazza della Repubblica. Prevedo poi che in piazza della Repubblica si verificheranno conseguenze di rilievo sulla
vita del centro cittadino. La mobilità veicolare, nonostante alcuni interventi riguardanti le vie adiacenti, produrrebbe una consistente congestione. Prima di effettuare opere varie di demolizione e adattamento stradale sarebbe opportuna una preliminare contenuta sperimentazione.
Il futuro della nuova città è anche il futuro della cosiddetta ‘area vasta’ varesina. Abitata e vissuta da oltre 150 mila persone residenti nelle comunità storiche presenti attorno al nostro lago e nelle nostre valli vicine. Dobbiamo, come più volte ho proposto, creare una stretta collaborazione intercomunale che permetta di progettare un nostro comune destino.
Ricordo ancora le riflessioni derivanti dall’estesa ricerca effettuata dalla società Oikos di Bologna incaricata della redazione del Piano regolatore di Varese negli anni ’90 del secolo scorso. Che mettevano in rilievo l’opportunità per la città varesina di dotarsi di un centro congressuale adeguato, luogo rappresentativo di questa comunità intercomunale. Evidenziava che “… Varese possiede le caratteristiche ambientali oggettivamente rilevanti, che corrispondono al livello qualitativo medio dei casi esaminati dalla ricerca.
Il primo dato oggettivo è la vicinanza dell’aeroporto di Malpensa alla città… il secondo elemento è che Varese… offre una ambientazione naturale e storico culturale di particolare pregio (lago, nuclei storici, parchi, sistema delle ville, architettura liberty, archeologia industriale)… “di notevole attrazione per i congressisti anche stranieri che prolungherebbero la loro presenza oltre lo svolgimento delle riunioni congressuali.
Con riferimento ad altri centri congressuali esistenti nel mondo sottolineava la necessità che un Centro adeguato dovrebbe essere dotato di una grande sala come quelle di Montpellier e di Montreux da 2000 posti, oltre a sale minori di varie dimensioni, di biblioteche, di spazi per esposizioni.
Oikos proponeva per questo Centro la grande area panoramica disponibile lungo viale Europa sotto la villa Mirabello. Dopo venti anni occorre riconsiderare queste proposte.
Abbiamo bisogno di un luogo dove anche questa nostra comunità varesina possa discutere, progettare il proprio futuro. Delle relazioni, del progetto articolato delle comunità, del progetto delle intercomunalità. Per una nuova città. Che non subisce, che vuole essere protagonista della sua storia futura.
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