Una delle cose che dà significato alla vita, non l’unica, ma di notevole importanza, è il “progetto”. Avere un progetto è fondamentale. Un progetto in cui credere e che sia sentito come realizzabile. Un progetto per il quale valga la pena di darsi da fare, anche magari di soffrire.
Esso si può coniugare in diversi modi e in tutte le realtà della vita. Non l’individuo solo, con la sua volontà, ne è responsabile: chi ti offre la possibilità di realizzarlo, dalla famiglia alla scuola ai governanti porta con sé grande parte del suo raggiungimento o del suo fallimento.
Anche nel matrimonio occorre un progetto da perseguire insieme: se esso viene a mancare, il matrimonio può fallire.
Per i giovani, è essenziale che la società offra le condizioni per raggiungere il sogno o progetto consono alla natura di ciascuno. La famosa società “liquida” non lo fa.
Chiunque, e i giovani in particolare, ha bisogno di certezze. Difatti si è tante volte detto che molti sbandamenti giovanili, dalla droga alla malavita, vengono dall’aver respirato un’aria di vaghe e inconsistenti possibilità, dove l’una vale l’altra. E dall’aver visto deificato il denaro.
Possibilità e progetto non sono la stessa cosa, perché il progetto richiede determinazione e sacrificio, là dove la possibilità non offre sicurezza e spinge a credere che tutto sia facilmente conquistabile.
Purtroppo però esistono e sempre esisteranno eventi che vanificano il perseguimento di un progetto. In alcune parti del mondo la miseria, le guerre, le atroci violenze di cui siamo, e nemmeno del tutto, a conoscenza rendono risibile la parola progetto. E chi si butta alla ventura per concretizzarne uno non ha molte possibilità di farcela.
Ma in generale, nel corso della storia, della nostra occidentale voglio dire, anche le guerre, i terrorismi, i terremoti e analoghe sventure non hanno impedito che si dicesse: “Poi finirà, si potrà pur con fatica riprendere in mano la nostra vita”. Questo perché si sapeva in cosa consisteva il pericolo patito.
Oggi, aprile 2020, le cose suggeriscono una nuova e diversa inquietudine. Chiaramente mi riferisco alla pandemia.
Nessuno sa o può dire cosa sarà dopo. Tutti i grandi scienziati, virologi, eccellenze in materia, politici (i più loquaci e i meno esperti) ripetono che “dopo sarà diverso”: cioè? Gli uomini saranno più buoni, come romanticamente alcuni affermano, più generosi e comprensivi verso chi rischia oggi la propria vita per salvare quella altrui, più generosi verso i poveri e poverissimi? Certo tutto sarà diverso per alcuni aspetti della vita, quello economico in testa, dovrà necessariamente essere diverso il rapporto tra gli stati.
Ma per noi gente comune, che non si intende di cose difficili, cosa sarà, oltre le difficoltà economiche?
Io, da persona qualsiasi, dico che non risorgeremo se non ci verrà dato, o se non sapremo darci, un nuovo progetto.
Pare un discorso un po’ teorico e strano, ma io vorrei trasferirlo sul piano della vita personale, indipendentemente da sventure globali.
Quando la vita di una persona, ad esempio, viene sconvolta da un lutto, o da un qualsivoglia evento che butti in aria la usuale tranquillità, e può essere un tracollo finanziario o un licenziamento o un abbandono affettivo o tante altre cose, il mondo ci cade addosso.
Può capitare che il senso della vita sfugga. Eppure rinascere bisogna, non fosse altro per chi ci vuole bene, per chi ci stima capaci di far fronte al male di vivere. E per noi stessi.
Allora serve voltare pagina, esaminare le forze rimaste in campo, valutare le proprie e ricominciare.
Ma perché ciò avvenga, serve darsi uno scopo, avere un progetto nuovo.
Sarà difficile, sarà anche doloroso, ma inevitabile, se si vuole rinascere e ridare un senso alla vita. Dentro di sé, innanzitutto: perché gli anziani, soprattutto se abbandonati, appaiono così abbattuti? Ricordo l’impressione che mi fece molti anni addietro una fila di ospiti di una pur lussuosa casa di riposo messi l’uno accanto all’altro a prendere il sole in giardino: non erano dementi senili, lo si capiva. Eppure ognuno stava chiuso in sé, non parlavano tra loro.
Capii una cosa: la loro tristezza derivava dal non avere più un progetto da perseguire. Mi dissi che bisogna a tutti i costi averne o crearsene uno, finché le forze reggono, per lottare fino in fondo contro il comune destino. La ginestra rinasce sempre, anche se sta sul vulcano.
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