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Cultura

LA SCRITTURA, CIOE’ IL PANE

RENATA BALLERIO - 24/04/2020

Sepulveda riceve il Premio Chiara alla carriera nel 2014

Sepulveda riceve il Premio Chiara alla carriera nel 2014

“Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo… Chi ha avuto tanto e chi num ave niente!”. I versi della apparentemente democratica A’ livella di Totò possono, senza mancanza di rispetto, essere riletti pensando a chi ha dato tanto e chi pochissimo con la propria vita. Alla prima categoria appartiene senza dubbio Luis Sepulveda, il settantenne scrittore cileno, testimone di una letteratura che, come tale, ha superato tante frontiere. Lucho, per chi lo ha amato per il suo impegno civile, o per la non comune capacità di scrivere e di commuovere, facendo riflettere, grandi e bambini, se n’ è andato il 16 di aprile, il mese crudele, come lo definiva Eliott. Una morte quasi simbolo di quanti sono stati e sono rapiti dal virus che sta avendo la forza di mettere a nudo le nostre fragilità.

Non è un caso che, oltre ai doverosi, inevitabili e ufficiali omaggi, molti, attraverso i social e i messaggi su whaspp, ne hanno costruito, alla notizia della sua morte, un personale ritratto. Quasi un abbraccio virtuale, fatto ricordando alcune sue frasi: Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, e ha dimostrato senza grandi gesti che è possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori o aforismi del tipo camminare verso l’orizzonte, incontrare l’altro.

E poco importa sapere a quale romanzo appartengono perché sono parole intrise di vita vera e appartengono, quindi, a chi le fa sue. Nel cuore e nella mente, potremmo aggiungere. È giusto, quindi, ricordare in tanti e diversi modi le emozioni che ha donato, scuotendo, però, sempre le coscienze.

Quando ricevette, sei anni fa, il premio Chiara a Luino ricordò un particolare apparentemente semplice e insignificante della sua vita, quasi un sommesso aneddoto. Disse, con il suo tono quasi bonario, alimentato da un’allegria e una serenità profonda, di aver comprato da un fornaio una tavola di legno e di averla trasformata in un suo tavolo di lavoro. E amava – continuò nella sua pacata conversazione – risentire il profumo del pane che era stato posato su quella tavola. Non disse altro ma, ascoltandolo allora e ricordandolo ora, si coglie in quel gesto un valore simbolico: la scrittura come pane fragrante, come cibo quotidiano, come profumo magicamente evocativo.

 Proprio per questo, se cibati dalla forza della scrittura, noi tutti potremmo usare le parole conclusive di un suo testo, Patagonia express, reportage di un viaggio reale e interiore, per permetterci di dire a voce alta che vivere è un magnifico esercizio.

Luis Sepulveda ha insegnato non solo a volare alla gabbianella ma a noi tutti, anche nelle pagine meno note, come quelle di romanzi, La Frontiera scomparsa o Diario di un killer sentimentale. Titoli che paiono ricordarci che c’ è, sempre un altro modo di pensare o, come il titolo originario di Patagona express che era un verso di una poesia di Antonio Machado: Al andar se hace el camin, che è camminando che si fa il cammino. Lui, con il suo pensiero non si fermò mai, neppure quando ventiquattrenne, sotto la dittatura di Pinochet, fu torturato e rinchiuso per mesi in una prigione

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