Diciamolo subito. Così evitiamo malintesi. Le chitarre suonate in chiesa, durante la Messa, mi irritano, soprattutto se le chitarre propongono musiche brutte. Mi provocano un fastidio di fondo che mi distrae dalla liturgia.
Ho abbastanza anni per aver seguito con interesse il percorso della musica nella liturgia, con tutti i suoi tentativi e le sue tendenze di moda o di conservazione, prima e dopo il Concilio, con il documento “Musicam sacram” del 1967, documento stilato dalla Sacra Congregazione dei Riti per dare regole alla musica di culto. E alla fine ho maturato la convinzione che troppo spesso la musica abbia ancora da fare una lunga strada per trovare un migliore accordo.
Qui servirebbe, per meglio comprendere, una analisi che spieghi la differenza tra musica sacra e musica liturgica. Ma volevo limitarmi a mettere l’accento su quanta musica discutibile, se non proprio brutta, spesso con testi banali se non proprio scadenti, si sia cantata o suonata nelle nostre chiese.
Dai Salesiani, alla Messa del mattino, cantavamo assonnati all’inizio “Giù dai colli” e ci risvegliavamo immediatamente quando il ritornello esplodeva in “Don Bosco ritorna tra i giovani ancor, ti chiaman frementi di gioia e d’amor”: una “canzonetta” di don Secondo Rastello su musica di don Michele Gregorio, il cui ritmo era esattamente quello di una canzone stile Rabagliati. La Messa terminava con il canto dell’Azione Cattolica, “Bianco Padre”, una marcia stile militare di evidente richiamo fascista. E non a caso l’autore di questa musica, Mario Ruccione, era stato anche l’autore di “Faccetta nera”. Il testo diceva: “Qual falange di Cristo Redentore la gioventù cattolica in cammino. La sua forza è lo Spirito Divino origine di sempre nuovo ardore”. Per esplodere in “Siamo arditi della fede, siamo araldi della Croce, al tuo cenno, alla tua voce, un esercito all’altar”. Era evidente la volontà di utilizzare le modalità del linguaggio espressivo fascista per adattarlo a miglior causa. Ma restava il fatto che il testo non fosse certo eccelso e la musica fosse insieme accattivante e militarmente inquietante.
I Salesiani, che su indicazione di don Bosco davano molta importanza alla musica come strumento di trasmissione di valori e di coesione, insegnavano canti come “Giullare dei campi”: “Siete tutti ladri ragazzi miei, non ho più il mio cuore ce l’avete voi, ma non mi interessa, da oggi in poi, ogni mio respiro sarà per voi”. Naturalmente si parlava di don Bosco e il legame con la liturgia allora non era un problema avvertito, tanto è vero che queste canzoni venivano cantate indifferentemente in chiesa e durante i giochi in cortile o in gita. C’è da dire, comunque, che queste canzonette erano orecchiabili, “moderne” e contribuivano alla sottolineatura del ruolo di don Bosco, come prete educatore. Quello dei Salesiani è un esempio, ma tutti i gruppi avevano le “loro musiche” con cui si identificavano, dai focolarini con i gruppi Gen, a Giesse, al Rinnovamento nello Spirito e così via.
Negli anni sessanta avevamo assistito ad esperienze musicali rivoluzionarie, a cui si guardava con scandalo o con curiosità giovanile, secondo i casi. E parliamo qui di musica liturgica. L’esempio più dirompente era stata la “Missa Luba” dove i canoni della Messa latina venivano cantati in lingua e con ritmi congolesi, nel 1958. Oppure nel 1966 della famosa “Messa beat” di Marcello Giombini che aveva creato scalpore perfino al quotidiano “L’Unità” che aveva sottolineato allarmato la “desacralizzazione della Messa”. Erano tempi di fermenti in ogni campo e la musica non ne era esclusa e cercava strade espressive nuove. Spesso esaurite sul nascere.
Che quello del rinnovamento della musica sacra e del canto liturgico sia però ancora oggi un problema non chiarito lo si riscontra anche dall’intervento di Papa Francesco, nel 2017, al Convegno internazionale su “Musica e Chiesa a 50 anni dalla Musicam sacram”. Papa Francesco non aveva usato mezze misure: “Talvolta è prevalsa una certa mediocrità, superficialità e banalità, a scapito della bellezza e intensità delle celebrazioni liturgiche”. E proseguendo aveva incoraggiato a “salvaguardare e valorizzare il ricco e multiforme patrimonio ereditato dal passato, utilizzandolo con equilibrio nel presente ed evitando il rischio di una visione nostalgica o archeologica”
In sostanza, non bastano due chitarre per fare una bella Messa per “attrarre i giovani”, come avevano tentato alcuni preti, cercando strade nuove. Già Paolo VI nel 1969 aveva invitato però a diffidare di quella musica che “snatura la celebrazione, indebolendola nel rito, nei testi, nelle musiche e nei canti, con pretesto di adattarla alla mentalità moderna”.
Una carrellata su YouTube permette di incontrare prove musicali scadenti o addirittura divertenti, se non sembrasse irrispettoso riderne. Troviamo canzonette orecchiabili stile Sanremo anni cinquanta, brani di musical tipo “Il gobbo di Notre Dame”, testi che si rivolgono alla Madonna come alla morosa del momento, musiche afro-americane con tanto di deliri di movimenti di mani e gambe. Uscendo dall’ambito cattolico troviamo esempi ancora più incredibili. Se volete averne un’idea andate a sentire su YouTube la Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale dove, con tanto di chitarre, amplificatori, batterie e aggeggi simili un gruppo canta “Aiuteme Gesù” (“Voglio te dint’o core pecchè sì a vita mia, pecchè sì o pate mio, sent ‘na tristezza pecchè me manche Tu. Aiuteme Gesù ma l’oro mio sì Tu, strigneme forte ch’io tengo sulo a Tte”). Siamo in pieno delirio neomelodico napoletano.
Di positivo resta però che fedeli che spesso non sanno leggere la musica e che a volte non hanno neppure il dono di accettabili capacità vocali, esprimono insieme passione musicale e desiderio di partecipazione attiva cantando nelle corali presenti nelle parrocchie. Gente comune: segno, questo, che la musica ha una forza di attrazione indiscutibile. E tutto questo deve essere valorizzato.
Monsignor Frisina, musicista e compositore, ammette che “ a volte ascoltiamo prodotti scadenti” e, sottolineando il ruolo fondamentale dell’organo invita ad “evitare ogni avventura”. Sottolinea che “il compito del coro è accompagnare la comunità nella lode di Dio attraverso il canto” e che “la Messa non è un concerto”. Sul tema “chitarra sì o no”, ritiene che la chitarra sia “uno strumento leggero che difficilmente riesce ad inserirsi in una celebrazione con coro ampio”. Ma non la esclude: “In una piccola comunità dove l’organo non è presente, la chitarra può essere un sussidio ma solo legato alla necessità”. Ma precisa: “ Serve saperla suonare, non va impiegata come nella musica pop”.
Siamo partiti dalle chitarre in chiesa e siamo arrivati lontano. Ma, in fondo, sperare in una musica più curata, previlegiando gli strumenti più adatti alla liturgia, ragionare sul ruolo del canto dell’assemblea, pensare alle scelte musicali più adatte per quel momento liturgico, per quella celebrazione non vuol dire essere contrari alle novità o legati in modo acritico alle tradizioni musicali. Per niente. Con o senza chitarre.
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