Lo sport dopo il coronavirus avrà una certezza e un’incognita. La certezza si lega al momento in cui sarà possibile riaccendere i motori e riprendere il cammino interrotto: è evidente che ci saranno una serie di pesanti condizionamenti, a cominciare dal prevedibile ricorso alle porte chiuse fino alla questione del reperimento delle risorse. È un aspetto critico per tante discipline, addirittura primarie come basket e volley: uno scenario di incontri senza pubblico pagante fissa infatti dei contorni drammatici e la prospettiva di fallimenti a raffica.
Ad ogni modo i paletti – e che paletti – sono stati già indicati, se si vuole ripartire: sanificazione delle aree comuni e degli spogliatoi, allenamenti condotti con il criterio della prudenza. Almeno adesso è/potrebbe essere così ed è una prospettiva onerosa per tanti, perfino nel pianeta calcio. Mi chiedo allora quale senso abbia la frenesia del pallone di voler ricominciare. Rimango poi basito di fronte al diktat di un Ceferin (presidente dell’Uefa) che promette l’esclusione dalle coppe delle squadre di quei Paesi che dichiareranno conclusi i campionati nazionali: è un esercizio di arroganza senza pari da parte di un personaggio che forse immagina di vivere su Marte. Intanto, però, il Belgio è già finito sulla sua lista nera. Un’altra realtà che mi pare avulsa dal buon senso è quella dell’Eurolega di basket, che con ostinazione pensa alla chiusura della stagione proponendo le più strampalate formule, ad esempio un maxi torneo di finale, a eliminazione diretta, in un’unica sede. E si andrebbe a giocare addirittura a luglio. Ma al momento è solo un proposito legato a una sorta di accanimento terapeutico degno di miglior causa: tutti vorrebbero rivedere partite e campioni, ci mancherebbe altro; ma questo non deve accadere ad ogni costo, anche perché bisogna considerare che ha poco senso assegnare un titolo in condizioni talmente “zoppe”.
Penso insomma che lo sport dovrebbe accantonare certe velleità, prendere atto di uno scenario ancora troppo difficile da gestire e tentare di raggiungere un accordo con i vari interlocutori televisivi, i cui quattrini sono il solo e vero motivo per cui si stanno forzando le cose, a costo di perdere il lume della ragione. Ma questa è l’attualità. Il problema vero è il futuro. Che ci regala l’incognita di cui sopra, legata a una semplice riflessione: oggi è impossibile definire un modello di sport in assenza delle disposizioni delle autorità sanitarie (anche quelle mondiali) e del Governo. Quando e come si potrà tornare a giocare a porte aperte negli stadi e nei palasport? Quale sarà il criterio di gestione dei flussi dei tifosi, degli spazi in tribuna, delle parti comuni? E loro, gli sportivi protagonisti, avranno delle limitazioni? Immagino e voglio sperare di no, altrimenti sarebbe per dire impensabile riattivare qualsiasi gioco di squadra. Inevitabilmente, comunque, sotto questo aspetto ci saranno dei vincoli e situazioni nuove: i club, a occhio e croce almeno nella prossima stagione, dovranno prepararsi a vendere meno biglietti ed abbonamenti e cercare di compensare in altro modo, magari vendendo ai tifosi pacchetti di streaming on line (peraltro potenzialmente in concorrenza con l’offerta sul fronte televisivo, ad esempio quella della piattaforma di Eurosport).
Non sarà uno scenario semplice: di mezzo ci sarà anche la necessità di essere appetibili a un mercato degli sponsor che subirà inevitabilmente contrazioni. E poi resta da capire la risposta del pubblico: io sono abbastanza fiducioso che predominerà il desiderio di ricominciare e di ripartire, ma bisogna anche mettere in conto il fatto che questa emergenza sta generando molte paure e forse pure insensate fobie: molti, condizionati dall’invito attuale a mantenere le distanze dal prossimo, potrebbero non gradire più avere dei vicini di posto. Insomma: i problemi potenziali sono parecchi, nel segno di una grande incertezza. Mentre il ciclismo mira a sprintare sugli altri (ma chi controllerà chi sulle strade, per non dire del tragicomico di zone traguardo a tifosi regolamentati?) probabilmente è più definibile il domani di sport quali la Formula 1 e il Motomondiale: credo che si arriverà a una revisione dei format, accorciando da 4 a 3 i giorni al circuito e, magari, usando una pista per due Gp contigui. Alla fine potrebbe derivare quella semplificazione, con relativi risparmi e ridimensionamenti dei budget, che fin qui era stata invocata invano: forse questo non sarebbe un male.
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