“Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto”. (Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, Canto I).
“Le audaci imprese “ dei medici, degli infermieri e di tutto il personale assistenziale durante il corso dell’epidemia da Coronavirus-Covid 19, sono state narrate e celebrate sulla stampa, sui social, in Tv, come imprese eroiche di un poema epico- cavalleresco. Il prezzo pagato in termini di perdita di vite umane è altissimo per i medici, 136 morti di qualsiasi età e categoria. Medici di medicina generale e Medici ospedalieri. Si è riscoperta nell’opinione pubblica l’essenzialità dei medici e degli infermieri all’interno del Servizio Sanitario Nazionale. A partire dal 2011, con il taglio lineare delle spese praticato da tutti i Governi che si sono succeduti, il SSN ha subito un forte ridimensionamento in termini di posti letto, ammodernamento delle apparecchiature e strumentazioni a fronte di una clinica sempre più complessa e di una tecnologia sempre più costosa; è stato bloccato il ricambio del personale e mentre sono stati chiusi tanti ospedali pubblici, si è assistito alla privatizzazione sempre più diffusa della sanità; in estrema sintesi è stata errata la programmazione generale.
La stessa figura del medico ha subito un forte ridimensionamento nel suo ruolo e nel suo prestigio, che in parte è stato ristabilito in questi tristi giorni in cui il Covid-19 ha infuriato. La stessa opinione pubblica osannante però, toccata nel profondo dalla malattia o dalla morte dei propri cari, sta rapidamente cambiando opinione riguardo gli operatori sanitari, in particolare i medici, preoccupata anche di come risolvere gli incombenti problemi economici ed organizzativi della vita quotidiana. Fu vera gloria? Si è colta da parte di tutti la caratteristica essenziale della professione medica, cioè la sacralità dell’opera curativa dei medici? O questa nozione e percezione nella gente, forse negli stessi medici, è persa per sempre, per cui in breve volgere di tempo dalle ”cortesie” si passerà alle “armi”?
Già oggi, ancora in piena pandemia, “alcuni indegni appartenenti all’Avvocatura, secondo una pratica di sciacallaggio che proviene dagli Stati Uniti” (M. Ronco; l’Occidentale) pubblicano soprattutto sui social avvisi di ricerca di possibili clienti per eventuali casi di malasanità, distruggendo la residua sacralità della professione legale, ed i politici che si erano detti pronti a fornire ai medici uno scudo, come quello di Bradamante, hanno cambiato opinione nel breve volgere di tempo. Da dove deriva il carattere sacro della professione medica? Ancora oggi ogni medico prima di iniziare l’esercizio della professione, pronuncia il giuramento di Ippocrate, che una volta veniva consegnato il giorno della laurea insieme al diploma, successivamente veniva messo in cornice ed appeso con orgoglio alle pareti di casa o dello studio e consegnato spesso all’oblio. Nella forma originaria il giuramento era rivolto agli dei della salute, in particolare ad Asclepio (Esculapio per i Latini) e consisteva nella promessa di dedicare sé stesso con ”innocenza e purezza” all’arte medica.
Oggi il giuramento prevede una formulazione diversa, ma identica nella sostanza, deliberata dalla Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri nel 2014 e recita così: “Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento e il sollievo della sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona, cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale…E di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte”. Per questo giuramento, i medici e con loro tutti gli operatori sanitari hanno tenuto fede alla loro coscienza professionale, fino al sacrificio supremo, consapevole o meno, della propria vita.
Con lucida analisi sono stati individuati alcuni motivi fondamentali che hanno portato alla perdita della vera nozione dell’arte medica, ovvero la sua sacralità: la supposta onnipotenza della scienza e della tecnica contro la malattia e la morte, per cui dall’opera del medico, per contratto, è lecito attendersi sempre un risultato positivo. Inoltre l’autonomia assoluta del paziente, oltre i giusti e personali diritti e facoltà, ha avuto anche come risultato quello di costringere i medici a violare il loro giuramento di non infliggere ad alcuno la morte, ma di preservare sempre la vita, dal suo concepimento fino al termine. Infine vi è la “colpevolizzazione giudiziaria indiscriminata dei medici” (M. Ronco, l’Occidentale). L’opinione di autorevoli giuristi è che “la responsabilità colposa medica debba essere riservata esclusivamente al foro civile”, abolendo il processo penale che “è una pena anticipata per il colpevole, ma ancor peggio, è una pena ingiusta per l’innocente” (M. Ronco, Emerito di Diritto penale all’Università di Padova).Resta l’interrogativo: fu vera gloria? Lascio alle convinzioni ed alla coscienza di ognuno di trovare la risposta. La vera domanda però quando accadono questi eventi è: qual è il senso della vita?
Nei giorni in cui “gli spaventosi numeri certificavano l’avanzata della malattia”, siamo rimasti tutti scossi e ognuno di noi, giovane o vecchio, medico o no, ha cercato di “ trovare una necessità, di trovare il suo ruolo, il ruolo giusto, anche se sa di non poter fare molto…e di non lasciarsi divorare dalla paura, ma di fare ognuno la propria parte, di restare calmo” (Philip Roth; Nemesi, 2004). Dobbiamo quindi cercare di guardare alla realtà, cercando sì una ragione, ma rischiando anche di non trovarla in qualcosa che appare “insensata, contingente, incongrua e tragica” (Philip Roth, Nemesi).
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