C’è bisogno d’una campionatura dei reclusi a domicilio per capire se non ne possono più dell’isolamento? Non c’è. Ma il governo affida a un team divinatorio la cruciale indagine. Che cosa mai risponderanno i poveretti ai maestri della psiche spediti a interrogarli? Che stanno per esplodere, e se non sono già esplosi lo si deve a una dose di civismo, misto a paura, inimmaginabile sino a qualche tempo fa. Una resistenza mentale ormai arrivata agli sgoccioli (non da droplet). Perciò: domanda banale, risposta peggio che banale. Questi sono i binari del declivio sul quale rotola l’obliqua comunicazione fra Stato e cittadini. Anche fra Regioni e cittadini. Pure fra professori e cittadini.
Ora, giù il cappello di fronte a Stato, Regioni e professori impegnati al meglio nell’arginare la pandemia. Tuttavia i cittadini vorrebbero essere informati in base a criteri meno ansiogeni/deprimenti/inutili, una trash force purtroppo causa di rovinosi deficit d’autostima. Proprio quello che non ci vuole in una fase 2 che ambisce a rassicurare, dopo il tremendismo della fase 1. Si comprende l’obbligo di mettere in guardia il popolo. E l’imperativo di negargli licenze potenzialmente mortifere. E il convulso agitarsi della politica nel drammatico cimento. Però la comunicazione è forma, oltre che sostanza. Quando dài le notizie, vale il modo, non soltanto il contenuto. Ergo: quadro d’autore, cornice idem.
Cosa c’importa che un pool di psicologi farà un sondaggio, dal verdetto scontato, su quanto sono stirati i nostri nervi? Come e quando riaprire il Paese lo deve sapere il governo, in armonia con le Regioni e le indicazioni scientifiche. Se non lo sa, chieda il cambio e vada in panchina: giochino altri. Se lo sa, decida in operoso silenzio. Smettendola di fomentare inquietudini e caos, d’aggiungere molestie superflue a disagi veri, di creare aspettative e di comminare delusioni.
Se questo, à la guerre comme à la guerre, era giustificabile nell’incipit della decimazione da Covid-19, adesso non lo è più. Adesso siamo all’epoca della verificata consapevolezza: lo dimostra la contagiosa obbedienza di massa ai diktat salutistici. E dunque la massa pretende libertà di movimento e interazione sociale, responsabilmente condizionate dal protocollo funzionale a non riattizzare i focolai dell’infezione (ubi fides, ibi libertas: siamo tutti Sant’Ambrogio). La sensazione è invece che la massa, specialmente se in tarda età, sia ritenuta un insieme d’incoscienti e/o cretini da terrificare più che si può, altrimenti non ubbidisce.
Per quanto inturbantati dalle spine del corona, i nostri cervelli non rifiutano la razionalità (a proposito: onore ai cervelli anziani, che stanno salvando il resto dell’universo cerebrale). Né reagiscono alla beona se incrociano evidenze reali. E allora: o c’è qualcosa di strategicamente importante, e lo si dice. O non c’è, e si tace. Si faccia, piuttosto. Si faccia presto. Si faccia bene. Si faccia tutt’insieme, maggioranza e opposizione (che squallore, l’ultima canea parlamentare anti-premier). Si comunichi infine -senza subdole astuzie- il risultato della tosta azione a tutela del benessere individuale e collettivo: l’unico lessico che ci è familiare.
Ps
Fontana annuncia a Conte la via lombarda alla libertà: riapertura in autonomia. Poi gli raccomanda di non sospendere il lockdown su base regionale, altrimenti avremmo un’Italia zoppa. Travaglio commenta sul ‘Fatto’: “Guai se Conte desse rette a Fontana, dice Fontana”. Intanto Fontana invia ai lombardi un’app regionale tipo la Immuni che sta per mandarci il governo. I lombardi sono perplessi: scaricare subito l’una o aspettare l’altra? Nel frattempo De Luca dalla Campania afferma che Fontana gli sembra un po’ confuso. Fontana replica: sono lucidissimo. Uno specchio d’acqua. Però chiudere i rubinetti, ogni tanto…
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