“Tranquilli che, superata la buriana, ossia questa pandemia, tutto ritornerà come prima”: si sentiva dire qualche settimana fa nei primi giorni dell’incertezza e del dolore. Ora si parla di seconda fase.
L’esperienza ci dice che quando l’umanità è sottoposta a grandi prove, chiamiamole pure storiche, e le supera con tante difficoltà, tutto non torna mai come prima.
Oltre al naturale evolvere della vita, che per la maggioranza degli uomini è generalmente molto dura, restano le cicatrici delle grandi disgrazie che incidono pesantemente sulle condizioni del vivere, per cui cambia il modo di pensare, di concepire la realtà, cambiano i costumi, inevitabilmente diversi da prima sotto il peso enorme dei cambiamenti economici troppo spesso negativi.
Consideriamo ad esempio come mutò la società dopo la così detta “grande guerra”, iniziata nella seconda decade del 900. Troppi morti, troppi dolori, troppa fame, troppi grandi sacrifici avevano segnato gli uomini di tutti i popoli, tanto dei vincitori quanto degli sconfitti. Apparve troppo evidente l’inutilità di una guerra che non aveva portato vantaggi a nessuno. Troppe madri avevano dovuto urlare di dolore sui corpi sanguinanti dei figli. L’economia ne era uscita troppo straziata per non incidere sui modi di pensare, d’agire, sui credi, sulle idee, provocando la comparsa di nuovi immensi errori.
Così dopo la seconda guerra mondiale. Ma tra le due guerre ci fu anche la grande crisi economica del 29 che in troppe nazioni provocò tanta miseria e tanti morti di fame.
E si è tutti sulla stessa barca, anche se molti vorrebbero il contrario; la sofferenza, magari in misura diversa, coinvolge tutte, o quasi, le nazioni. Non sono sufficienti i confini per fermare le conseguenze di certe disgrazie specialmente nella nostra era caratterizzata dalla globalizzazione: troppo facile lanciare nell’etere notizie, troppo facile spostarci su questa terra, troppo facile maneggiare soldi virtuali.
Il fenomeno globale si mosse, lentamente ma inesorabilmente, già prima della seconda guerra mondiale. Ci si sentiva sicuri nei propri confini ma troppi non avevano capito che la guerra non paga e la follia di voler dominare sugli altri scatenò la seconda guerra mondiale e infinito fu il numero delle madri che dovettero nuovamente urlare il loro dolore per la morte dei figli. L’immagine della “mater dolorosa”, ossia della Madonna con il Cristo sulle ginocchia presente nelle nostre Chiese, divenne sempre più emblematica della grande prova che l’umanità dovette rivivere. Dopo i grandi odi, il tanto sangue versato, la grande follia, la vita non tornò quella di prima. La necessità di ricostruire fece lavorare, “faticare” in modo positivo ma la sicurezza non fu mai raggiunta. Immense tensioni serpeggiavano tra le nazioni.
I fucili non hanno mai cessato di sparare. Troppe generazioni non hanno vissuto questi dolori e troppi giovani non hanno mai studiato o hanno studiato male questi eventi storici, tanto che gli errori passati si riaffacciano nelle nostre società.
Oltre alle crisi economiche e alle guerre, negli ultimi cent’anni sono arrivate le grandi epidemie, né più né meno come nei secoli passati e, dopo, la vita non torna come prima. Ora siamo tutti intenti a far rallentare il contagio con l’unico mezzo a disposizione, la quarantena, ma non avendo debellato il virus dovremo trovare il modo di tornare a vivere attivamente senza infettarci. E come? Chi può dovrà lavorare da casa e gli altri, impegnati in altre mansioni, dovranno utilizzare maschere in plexiglas il più complete possibili, che permettano una ventilazione agevole ma sicura di difendere il portatore.
Stiamo rivivendo le vicende immortalate dalle immagini magistrali del “Settimo Sigillo” di Ingmar Bergman? Siamo noi a giocare a scacchi con la morte? A considerare quante sono le morti causate dal traffico, dal lavoro, dalla droga sembra proprio che noi uomini siamo debolissimi con gli scacchi.
Ma ora stiamo con i piedi per terra: andiamo avanti a fare ricerche su questo virus assassino per trovare anche i suoi punti deboli e andiamo avanti a studiare mezzi di difesa più snelli dell’isolamento.
Dobbiamo cercare di capire se e come cambierà il nostro modo di pensare, di fare. Capire che necessità dovremo saper affrontare e come modificare il modo di vivere i problemi sanitari ed igienici. Come assemblare i luoghi di incontro. Come risolvere anche i bisogni economici, inquadrandoli nel loro giusto valore per le necessità della vita.
Saremo costretti a cambiare i pensieri? I nostri discorsi avranno contenuti diversi? Saremo molto più dipendenti dalle tecnologie? Sapremo difenderci maggiormente dai cialtroni?
Alla seconda fase studiosi ci stanno lavorando, come al politecnico di Torino, ma molti altri penso che si stiano impegnando. Speriamo in soluzioni valide.
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