La zia Giulia Gervasini, maestra elementare nella prima metà del ‘900, piangeva ogni anno il 4 di novembre quando si festeggiava la vittoria della Prima Guerra: “Se ghémm nunc de festegià?“ ripeteva. Dalla primavera all’estate del 1918 si consumò la tragedia familiare; dei tre fratelli al fronte uno risultò disperso sul monte Pasubio, il secondo rimase totalmente cieco a vent’anni per lo scoppio di una granata, il terzo fu congedato per la febbre spagnola. Le tante celebrazioni per il centenario della fine della Guerra hanno un poco trascurato la grande tragedia della febbre “spagnola”, la più devastante pandemia della storia, forse portata dalle truppe USA nel 1917, che fece 50 (cinquanta) milioni di morti tra il 1918 e la fine del 1919. La fame e la carestia dilagavano anche nelle retrovie. L’impero austro-ungarico venne vinto dalla fame; la guerra l’avevano dichiarata loro.
Adesso siamo in guerra. Salviamo infatti la Patria “ stravaccati” sul divano; quatti quatti ci infiliamo in cucina, senza grossi rischi, dove nulla manca in frigorifero; la sera si trova il tempo per non dormire e far…due chiacchiere ; al mattino nessuno squillo ci sveglia. Lotta dura , poca paura. E’ vero, ci sono disertori, geni guastatori, quelli che escono con l’auto di notte, a fari spenti per sfuggire al nemico, la Polizia e i Carabinieri, e guadagnare… la prima linea del fronte, ma quello amico, in casa dell’amante. Altri assaltano nella notte i canili comunali per poter uscire a passeggiare. Altri ancora spacciano fumo infilato tra le pizze consegnate a domicilio. Insomma, una vera guerra dove il genio italico salta le trincee con l’inventiva di sempre. Siamo oppure no un popolo di eroi? L’ordine e la disciplina sono mantenuti con una politica repressiva con decreti che paiono andare oltre i dettami degli articoli costituzionali.
La guerra viene combattuta, soprattutto in Lombardia, negli ospedali e nelle RSA. Oltre diecimila tra infermieri e personale paramedico, schierati , si presume, col nemico, sono agli arresti domiciliari, isolati o trattenuti negli ospedali in regime di 41bis. Oltre 100 medici e 100 preti, cappellani militari sicuramente pacifisti, sono morti, senza processo. Questa guerra farà in Italia 20000 ( ventimila ) morti. Alla fine della prima guerra nel 1918 i morti furono oltre 600.000 ( seicentomila ) ma i mutilati e gli invalidi furono quasi 3 (tre) milioni e a questi dobbiamo aggiungere i decessi per la febbre “spagnola”. Come allora, la tragedia sarà il “dopo” e come non ricordare i moti dal 1919 al 1922, con gli esiti che conosciamo. Una prima avvisaglia arriva dalle carceri. Dopo i decreti che fissano la misura del distanziamento tra le persone per ridurre il contagio è nato tra i matematici ed i fisici un quesito di geometria teoretica per ora senza risposta: se tre persone vengono rinchiuse in una cella di 10 metri quadrati ridotta a 8,50 metri per il posizionamento di un letto a castello, come d’uso nelle carceri italiane, come si devono muovere i detenuti rispettando diligentemente la legge e le disposizioni del Governo italiano? Matematici di tutto il mondo hanno rinunciato e i Governi, anche forcaioli, di Stati del Terzo Mondo han seguito l’appello di papa Francesco per la grazia o l’amnistia. La scienza non può da sola risolvere tutto. Nelle carceri, galere, italiane sono già morte 60 guardie carcerarie.
Per ora possiamo solamente piangere. Piangere i vecchi, poveretti, morti abbandonati e soli, soli come i cani, senza un funerale, senza un fiore, portati via su di un camion come noi porteremmo in discarica il mobilio vecchio. “…ma muoiono solamente i vecchi “ si sente ripetere, quasi con soddisfazione, da chi non lo è.
Con la guerra è scoppiato però anche il silenzio. L’8 marzo era prevista la luna piena più grande e più bella del 2020 in un cielo ancora invernale ed invece apparso leggermente velato, privo di stelle. In un silenzio galattico, irripetibile, disteso sulla panchina ai bordi del grande prato della Bicocca, nel profondo della notte, mi son trovato fuori dal tempo, alleggerito nello spirito. Indimenticabili momenti son questi.
Il silenzio sarà per poco vittorioso sul frastuono, sull’imperare del rumore dei motori, sul vociare sguaiato che conferma la tesi che volumi e toni della voce sono direttamente proporzionali all’ ignoranza invitta di chi parla; il silenzio, è detto, cesserà. Rimarrà solo il ricordo dell’altrimenti impercettibile ronzio delle centinaia di api posate sui minuscoli fiori di un vecchio acero rosso giapponese; dei suoni della natura prima dell’alba; del canto indisturbato di cinciallegre e di merli in amore. Si legge, si rileggono romanzi di gioventù: Ippolito Nievo, Alessandro Manzoni, perfino De Amicis, Flaiano e quindi Voltaire e per necessità Mazzini, I Doveri dell’Uomo. Jannacci su Youtube ci tiene ottimisti. Toscanini pure.
Finirà la guerra, con la fine del silenzio. Poi, forse, nel bar si parlerà meno dell’argomento unico nazionale: Ul balùn, la bàla ; torneranno a romperci i timpani i panzoni sui motoroni senza marmittoni. Torneranno i cellulari coi poliziotti in assetto di guerra fuori dagli stadi e anche nelle piazze, per i pronosticati tumulti prossimi e venturi. Finita quindi la guerra staremo allora in pace. Parleremo di lacrime e sangue.
Coraggio, sta arrivando la Pace.
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